My world to save (KnB) – Capitolo XI


** Aomine **
“Ehy.” mi chiama lo scagnozzo della banda, distraendomi dai miei pensieri per riportarmi alla realtà “… Il capo ti vuole.” annuisco con un distaccato cenno della testa, prima di voltarmi e seguirlo, verso lo studio di quello che lui chiama capo ma che, in realtà, è solo uno degli esecutori degli ordini, dato che il vero capo dovrebbe trovarsi in un’altra città.
Dannazione, non potevano lasciarmi ancora un momento?
Un momento solo per pensare… Auguri, Kise.
E che… Vorrei essere con lui, in questo momento, a pensare solo a lui… A festeggiare, con lui…
E a cercare di recuperare tutto il tempo perso lontano da lui…
Eppure la situazione mi impone di tornare alla realtà, specialmente quando raggiungo la mia meta e mi ritrovo faccia a faccia con chi mi ha cercato, in quello che lui chiama il suo studio privato, che altri non è che una stanza con una scrivania ed un computer, da cui sospetto ricevi le istruzioni.
A cui devo riuscire ad accedere.
In fretta, se voglio tornare da…
“Tu mi piaci.” esordisce, mantenendomi nel mondo reale, tanto da farmi accorgere dei due energumeni piazzati vicino alla porta e palesemente armati “… Mi piaci davvero. Sei un tipo sveglio e con un incredibile istinto. Uno come te sarebbe davvero un ottimo elemento, per noi.”
“Grazie…” se è un complimento, ovviamente.
“Peccato che le cose non sia andate secondo i vostri piani. Dico bene, Aomine Daiki?” cerco di non avere reazioni nel sentirmi chiamare per nome da uno che non dovrebbe nemmeno aver mai sentito parlare di me e ribatto:
“Non so di cosa…”
“Sto parlando?” mi interrompe, zittendomi ed io rimango a fissarlo, cercando di capire quanto e soprattutto come sa.
Questo dà a lui la possibilità di lanciare sul tavolo un oggetto che, seppur mi sforzi di restare impassibile, mi fa avvertire un brivido lungo tutto il corpo: un bracciale.
Di acciaio e cuoio che… Che conosco.
E che non dovrebbe essere qui.
Mi sforzo anche di ignorare quello che pare essere sangue che lo macchia, obbligandomi di nuovo ad ostentare una certa indifferenza nell’insistere:
“Non…”
“Sì, sì.” mi interrompe, scuotendo una mano “… Arriviamo al sodo.” volta lo schermo del computer ed io vi vedo tutto quello che ho temuto in questi giorni e che ho sempre cercato di soffocare nei miei pensieri: la persona per me più importante al mondo, quella con la quale voglio passare il resto della mia vita, che ho cercato in tutti modi di proteggere, nelle loro mani.
Rinchiuso. In una stanza. Probabilmente dalla parte opposta della città. Legato. Imbavagliato. E sanguinante.
E, su questo, so di non poter mentire, abbandonando la mia copertura e imponendo:
“Lascialo andare.”
“Non sei nella posizione di dare ordini.” vero ma…
“Non vi serve.” la mia copertura è saltata, ora ne ha la conferma, quindi… A loro lui non serve. “… Non più.” quindi che lo lascino andare.
“Io invece credo che abbia appena iniziato a servire al nostro scopo.” ribatte canzonatorio, intrecciando le mani davanti al volto e portandomi, istintivamente, ad appoggiarmi al tavolo per impedirmi di perdere del tutto il mio sangue freddo.
“Che cosa vuoi?”
“Oh, vorrei tante cose!” si prende gioco di me? “… Ma in questo momento? Credo che cercherò di far capire a quelli come te che non si scherza, con quelli come noi. Ma..! Come ho detto prima, tu mi piaci, mi piaci davvero. E per dimostrarti il mio rispetto per te, ti farò scegliere: chi vuoi che muoia? Lui o… Te?” lo fisso in silenzio, sostenendo il suo sguardo senza lasciar trapelare i miei pensieri.
Che bast***o.
È ovvio che, al primo istinto, potrei dire scegli me, perchè non potrei vivere, senza di lui.
Ma lui… Non potrebbe mai vivere, senza di me.
Ed io come posso prendere la decisione di porre fine alla sua vita o di condannarlo ad una carica di sofferenza per averlo lasciato, da solo, sapendo cosa stavo facendo?
No, non è una cosa che intendo scegliere.
Non intendo stare senza di lui. E non intendo lasciarlo senza di me.
“Interessante…” riprende il mio interlocutore, in risposta al mio silenzio “… Allora è vero quello che mi hanno detto. Ne sei talmente innamorato da non volergli infliggere il dolore di lasciarlo senza di te.” mi prenda pure in giro, se vuole, ma se lui avesse qualcuno che rappresenta quello che Kise rappresenta per me, non farebbe tanto lo spiritoso.
Oppure… Forse ce l’ha… Ed è proprio per questo che sa quanto ha il coltello dalla parte del manico.
E che si tratta di un coltello molto, molto tagliente.
“Lo sapevo che mi piacevi!” esclama soddisfatto, appoggiandosi allo schienale della sedia e cominciando a dondolarsi da una parte all’altra “… Quindi ecco la mia proposta: lavori per me. Per davvero, questa volta. Mi passerai tutte le informazioni di cui verrai a conoscenza e, se servirà, farai dei lavoretti per me. Roba piccola, niente che possa far saltare la tua copertura. E lui resterà sotto la nostra tutela.” tutela? Quella? “… In modo che tu non faccia mosse azzardate. Al primo sospetto che cerchi di fregarmi, io ti ammazzo. Davanti ai suoi occhi. Intesi?”
“E se io non volessi accettare?” come può credere che io possa accettare una cosa simile?
Kise in mano loro? Non ci penso nemmeno.
“Se non vuoi accettare, allora mi costringi a portarti dal tuo lui e ammazzarti immediatamente, davanti ai suoi occhi, naturalmente.” naturalmente.
Questa parte era piuttosto superflua, lo avevo già intuito da solo.
Ma se pensa che io ceda…
Certo, che mi porti da Kise è una tentazione più forte di quanto lui stesso non creda.
Una volta da lui, potrei inventarmi qualcosa e ribaltare la situazione, con la certezza di averlo trovato.
Ma con la certezza di metterlo ancora più in pericolo di quanto io abbia fatto fino ad ora.
Maledizione, e ora che cosa faccio?
“Aspetta.” aggiunge poi, aprendo un cassetto della scrivania “… Ti do un incentivo a prendere una decisione.” prende una pistola e, puntandola contro di me, così come i due scimmioni, mi avverte:
“Conto fino a tre: se non prendi una decisione, ti sparo e poi porto il tuo cadavere dal tuo lui.” cosa che faranno i suoi scimmioni se azzardo ad un qualsiasi movimento improvviso, immagino “… Uno…” pensa, Daiki, pensa! “… Due…” ci deve pur essere una soluzione, fosse anche rischiare il tutto per tutto!
Sono già pronto a buttarmi sul tavolo per cercare di disarmarlo, sperando nella scarsa mira degli altri due ma, prima che possa farlo, la porta si spalanca, con un:
“Fermi, polizia!” che fa proprio al caso mio, facendo sobbalzare tutti.
Infatti, mentre i nuovi arrivati fanno incursione bloccando i due energumeni di guardia all’uscita, io sono più svelto del mio avversario a riprendermi e scavalcare il tavolo scivolandoci sopra, raggiungendolo e afferrando senza indugi la mano che impugna la sua pistola.
Devo lottarci qualche secondo, prima di riuscire a disarmarlo e, come sono io ad averlo sotto tiro, pretendo immediatamente di sapere:
“Dov’è?” in risposta, quello sghignazza, nonostante i due poliziotti che lo prendono in custodia ammanettandolo e ribatte:
“Anche se te lo dicessi, quando arriverai sarà già troppo tardi. Quindi… Cercatelo da solo.” maledetto..!
Non ho la possibilità di farmi valere, dal momento che lo portano via senza darmene il tempo ma, nel gruppetto di persone che vedo, riconosco, pure con un certo sollievo, Imayoshi e Susa.
Raggiungo in fretta il primo, avvisandolo:
“Hanno Kise.” voglio sapere dove e voglio andare da lui.
“Kise?” ripete Susa, sorpreso, mentre il suo vicino, al contrario, mi risponde tranquillamente:
“Lo so.” lo sa? “… Ma non preoccuparti, è, tutto sotto controllo. Piuttosto, ci sono delle buone notizie.” cerco di mantenere la calma, almeno intanto che mi mette a conoscenza di queste buone notizie, nella speranza che ne valga davvero la pena, spostando la pistola nella mano sinistra:
“Abbiamo la nostra talpa, ora Tanaka non farà più la spia per loro.” mi prendo qualche attimo per elaborare le sue parole.
No, devo certamente aver frainteso qualcosa.
“Come?”
“Grazie a voi siamo riusciti a trovare chi passava le informazioni.” mi spiega, con un certo orgoglio nella voce che mina proprio quel poco sangue freddo che, a fatica, riesco ancora a mantenere “… Ora possiamo finalmente dare una svolta a questo caso.” per quanto mi sforzi, non posso evitare che mi vada il sangue alla testa.
“L’hai detto a Tanaka?!” proprio a lui?
Che non attendeva altro che io fossi fuori dai giochi per farsi avanti con Kise?!
Senza contare il pericolo a cui ha volontariamente esposto quest’ultimo, quando io ho fatto di tutto per proteggerlo?
“Avevo un sospetto, ho voluto verificare.” conferma, come se fosse tutto normale, mentre piano piano metto insieme tutti i pezzi “… Mi sono accidentalmente fatto sfuggire con lui che, in realtà, voi due non vi eravate mai lasciati e che tu eri sotto copertura. Così che non si mettesse in mezzo, rendendo più complicato il tuo rientro.” la sua idea di mandare me…
La sua idea di fingere che tra me e Kise non ci fosse più niente…
La sua proposta di trovare un appartamento per lui durante la mia assenza…
La sua disponibilità ad organizzare il suo compleanno…
Tutto per verificare un sospetto e scoprire la talpa. E noi non siamo stati altro che burattini nelle sue mani.
Che stupido sono stato.
Non provo neanche a trattenermi, sferrandogli un destro che lo colpisce in piena faccia, facendogli saltare via gli occhiali e, grazie al fatto che probabilmente non se lo aspettasse, facendolo cadere a terra.
Ma prima che possa ribadire il mio disaccordo con questa sua grande strategia, è Susa ad intervenire, frapponendosi tra di noi e, con l’aiuto di un altro poliziotto che deve aver assistito a tutto, tenendomi fermo.
O almeno provandoci, dato che di certo non rendo loro la vita facile.
Ma quel bast***o me la pagherà.
Eppure, a porre fine la questione è Ryo che, mettendosi anche lui tra me e Imayoshi, esclama:
“Aomine-san, calmati!” calmarmi? Non se ne parla neanche! “… Ho sentito la seconda squadra! Hanno trovato Kise-san!” a queste parole, smetto di dimenarmi, così da sentire bene quando termina di spiegarmi:
“Eravamo preparati al peggio, sapevamo che Kise-san poteva essere in pericolo, quindi ci siamo divisi in due squadre! Abbiamo tenuto traccia del suo cellulare, quando siamo intervenuti sapevamo già dove fosse!”
“Sapevate già tutto?” tutti erano al corrente di questo piano?
Sobbalza appena, stringendosi nelle spalle, probabilmente per timore, giustificato, che potrei prendermela anche con lui e ammette:
“No… Imayoshi-san ci ha detto solo di tenere controllato il cellulare di Kise-san, che avrebbe potuto servirci! Abbiamo saputo solo mentre venivamo qui della tua copertura! Ma a proposito di Kise-san, Aomine-san! C’è già un’ambulanza che lo sta portando in ospedale! Ti accompagno!” mi libero con uno strattone dai due che ancora mi tengono e, mentre Susa va a verificare le condizioni di Imayoshi, in ginocchio a terra, io rispondo a Ryo:
“Andiamo.” e, se lui chiede il permesso di andare, io semplicemente mi volto, consegnando la pistola che ho confiscato al primo che capita, per poi avviarmi di fuori, seguito poco dopo dal mio accompagnatore che, per raggiungermi, è costretto a correre.
Come accende la macchina, metto veramente insieme tutti i pezzi di quanto capitato nell’ultimo periodo.
Quindi… Le cose stanno così… Eh?
Scuoto mentalmente la testa, allontanando i pensieri per concentrarmi su quello che conta davvero in questo momento:
“Ryo…” mormoro, nonostante mi renda conto che il rumore del motore che accelera al massimo possa coprire le mie parole “… Lui è tutto per me. Non farmi arrivare tardi.”
“Non lo farò.” afferma ed io so che sarà fedele alle sue parole.
Lo so. Lo credo.
Ma, nonostante la velocità sostenuta con cui sfreccia per le strade che mi separano dall’ospedale, non riesco a tenere a freno l’ansia.
O meglio… La paura.
Paura che mi porta a pregare.
Pregare chiunque io possa pregare, in cielo, sulla terra, sotto terra, ovunque: ti prego… Ti prego, fa’ che non lo perda.
Che stia bene. O, anche se non sta bene, che non sia niente di grave.
O niente di troppo grave…
Ma ti prego, non farmelo perdere.
A destinazione, lascio a Ryo solo il tempo di entrare nel parcheggio, prima di catapultarmi fuori dalla macchina e correre nell’ospedale, alla ricerca di chiunque possa darmi le informazioni di cui ho bisogno.
Eppure, nessuno sembra intenzionato a darmi retta, mettendo nuovamente a dura prova i miei nervi, fino a quando il mio accompagnatore mi raggiunge, spiegando, con maggiore autocontrollo di me, al personale che siamo qui per il ragazzo arrivato con la polizia e che, essendo testimone di un caso importante, noi siamo gli addetti alla sua sicurezza.
Nonostante l’occhiata poco convinta che ricevo, pare comunque che ottenga il suo scopo e, nel giro di meno di due ore sono seduto accanto ad un letto d’ospedale dove Kise dorme, con delle vistose medicazioni un po’ ovunque e profondamente addormentato, a causa dei sedativi, per attenuare il dolore.
Con lo sguardo ben fisso su di lui, in attesa dei primi cenni di risveglio, seppur sia stato informato che ci potrebbero volere anche un paio di ore.
Ma non importa.
Importa solo quello che hanno detto i medici: ‘ha preso un forte colpo in testa, ha diverse contusioni e un polso slogato ma nel complesso sta bene. Lo terremo in osservazione tutta la notte per preocauzione ma è fuori pericolo’.
Fuori pericolo…
*Ora* è fuori pericolo, ora che sono di nuovo accanto a lui e lo posso proteggere personalmente!
Mi lascio andare ad un profondo sospiro di sconforto, sostenendo la fronte con le mani e rendendomi conto solo adesso del dolore di quella con la quale ho colpito Imayoshi.
Fa male. Ma in confronto a quello che è successo è un niente.
Come ho potuto essere così stupido?
Come ho potuto davvero credere che fosse un’idea fattibile, quella di separarci per cercare di dare una svolta a questo caso?
Come ho potuto… Separarmi per davvero dalla persona per me più importante al mondo?
“Aomine-san…” mormora Ryo alle mie spalle, per poi tacere per un breve momento ed infine riprendere:
“Vado a vedere come sta Imayoshi-san… Tu… Resta pure qui.” annuisco meccanicamente ma, prima che possa lasciare definitivamente la stanza, lo fermo, potendo solo bisbigliare:
“Grazie.” per tutto quello che ha fatto per me oggi.
In risposta, mi giunge un semplice verso di assenso, seguito dalla porta che si chiude e, infine, il silenzio.
Silenzio a cui mi abbandono, in attesa che il mio compagno apra finalmente gli occhi ed io possa scusarmi di persona per la situazione in cui l’ho coinvolto.
Anche se le cose non dovevano andare così…
Guardo l’ora indicata sul display su quella specie di comodino accanto al letto: le 22.36…
Bel compleanno che gli ho fatto passare…
Ma se si svegliasse entro la mezzanotte, io potrei…
Scuoto mentalmente la testa.
Non è questo l’importante, adesso.
Quello che conta è che… Che riapra gli occhi. E mi dia la certezza di stare bene.
Avvicino un po’ di più la sedia al letto, prendendo la sua mano per stringerla, incurante del dolore alla mia.
Stringerla come lui ha fatto con me, quando ero io addormentato in un letto d’ospedale in una condizione peggiore della sua.
Ricordo ancora molto chiaramente quella stretta. Di quella mano, che non avrebbe mai accennato a lasciare la presa.
Quella mano che, stringendo la mia, mi ha riportato a casa.
E ora sarò io a guidarlo di nuovo da me.
Ma la situazione rimane stabile per poco più di un’ora, dopo la quale, finalmente, un lungo sospiro mi anticipa il suo risveglio, portandomi a lasciare immediatamente la mia postazione per sedermi accanto a lui.
“Kise…” ti prego, dimmi che stai bene.
“Ao… Minecchi..?” mormora, con un mugugno misto a confusione e stordimento ed io, decisamente rincuorato dal fatto che mi abbia riconosciuto o, se non altro, già cercato, gli sposto i capelli dalla fronte, domandando:
“Come stai?” devo lasciargli qualche attimo affinchè il suo sguardo mi trovi, così che sia lui a chiedere a sua volta, in un bisbiglio provato:
“Cos’è successo?”
“La mia copertura è saltata.” gli spiego, parlando come lui a voce bassa “… E ho finito per coinvolgerti. Mi dispiace.” era l’ultima cosa che avrei voluto…
Ma, stupidamente, l’ho affidato alla persona sbagliata.
Una persona che non ha pensato due volte a usarci.
Come se non fossimo nessuno.
Come se il legame che ci unisce, e che ha messo in pericolo, non valesse niente.
Mi fissa in silenzio qualche attimo, poi riesce a chiedermi:
“Stai bene?”
“Sì…” io sì “… Tu, piuttosto…” non mi ha ancora risposto “… Come stai?”
“Io?” ripete, leggermente confuso, per poi chiudere gli occhi, sospirare e ammettere:
“Come se fossi stato travolto da un camion… E ho un gran sonno.” che spero sia dovuto ai sedativi…
Eppure non trovo altro da aggiungere, se non continuare ad accarezzargli i capelli e questo dà ancora a lui la possibilità di tornare a guardarmi e, con un filo di voce, soffiare:
“Ora è finita… Vero?” la nostra separazione?
“Sì.” affermo, sembra ombra di dubbio “… È finita.” e questa volta definitivamente, a costo di strappare con la forza quel vincolo che ufficialmente ancora mi lega.
Mi basta il suo sospiro di sollievo per rendermi conto del suo stato d’animo e, chinandomi su di lui per cercare di stringerlo a me, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo, ribadisco:
“Mi dispiace.” non passa nemmeno un secondo prima che io avverta le sue braccia avvolgermi debolmente e la sua mano accarezzarmi dolcemente i capelli dietro la testa.
Peccato che mi serva un momento in più per rendermi conto che, in pratica, è lui sta consolando me quando in realtà vorrei che fosse il contrario.
Eppure… Anche se vorrei il contrario, anche se vorrei non addossare a lui, nelle condizioni in cui è, il peso della paura che ho provato oggi, non posso fare a meno di pensare a quanto stia bene.
Nonostante le condizioni in cui siamo, nonostante la posizione in cui siamo, nonostante il luogo in cui siamo… Io sto bene così, tra le sue braccia, seppur deboli ma abbastanza forti da tenermi ancora.
Poi, però, mi ricordo di un fattore a cui poco prima avevo dato molta importanza e, sollevandomi da lui, lancio una veloce occhiata all’orologio, rendendomi conto che, per una volta, forse le cose potrebbero andare per il verso giusto: le 23.54.
“Auguri.” mormoro, lasciandolo sorpreso per una manciata di attimi, quelli che servono a me per una carezza sulla sua guancia, nonostante la medicazione, e aggiungere:
“Non te li ho ancora fatti di persona.” volta la testa in cerca dell’ora e, rendendosi conto che, sì, è ancora il suo compleanno, vedo finalmente una traccia di sorriso illuminargli il volto mentre riporta lo sguardo su di me, ribattendo:
“E a proposito di questo: tu…” non riesce a concludere, anticipato dalla porta che si apre, a cui segue la voce di Susa:
“Aomine.” allibito, non posso fare a meno di voltarmi verso di lui che, come se nulla fosse, mi avverte:
“Il capo è arrivato, vieni.” venire?
“Non se ne parla proprio.” con che coraggio?
Ho appena rischiato di perdere Kise, lui potrebbe capire come mi sento!
Possibile che davvero non vogliano concedermi nemmeno questo?
Ciononostante, la risposta mi arriva dall’ultima persona da cui mi sarei aspettato:
“Vai.” incredulo, torno a guardare il mio compagno che, con un velo di supplica, aggiunge:
“Per favore.” ma quando la sua mano stringe un po’ più forte la mia, non posso che ritirarla con un sibilo di dolore, che lo porta immediatamente ad allarmarsi:
“Che c’è?”
“Niente.” lo rassicuro altrettanto immediatamente.
“Sei ferito?” insiste, costringendomi a fare lo stesso:
“No, non preoccuparti, non è niente.” e, per evitare che ci riprovi, guardo il mio collega, unico modo che ho per sviare il discorso:
“Vengo.” e, prima che ribadisca la sua richiesta, mi alzo dal materasso e, guardando la persona che lo occupa, lo rassicuro:
“Cercherò di tornare appena posso.” dopo che avrò fatto quello che mi ha appena chiesto di fare: chiudere definitivamente questa storia, il più in fretta possibile.
“D’accordo. Ma non credere che sia finita qui.” sospiro interiormente.
Lo temevo.
Ma quello che voglio che faccia ora è un’altra cosa:
“Intanto riposa. Ti tengono qui, per stanotte e io rimango con te.”
“Ok…” bisbiglia ed io, prima che il terzo possa intromettersi, porto la sua mano alle labbra, baciandola prima di lasciarlo andare e raggiungere Susa, con il quale mi avvio dagli altri.
Durante il tragitto, si premura di informarmi:
“Imayoshi ha la mascella rotta. Gli ci vorrà un bel po’, per riprendersi.” e con questo?
Se vuole accusarmi di qualcosa, che parli chiaro perchè:
“Non mi interessa.” anzi.
L’unica cosa che voglio ora è chiudere questa faccenda. Definitivamente.
E tornare da Kise. Definitivamente.

 

Continua…

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