Destino (TMR) – Capitolo XI


** Minho **
“Secondo te è morto?”
“Papà dice che dorme.”
“Secondo me è morto.”
“Dylan, scendi dal letto! Lo sai che papà non vuole!” ma che..?
Avverto una fastidiosa morsa lacerante allo stomaco, che mi porta ad aprire gli occhi e a sbatterli un paio di volte affinchè si abituino alla luce, causando alla superficie su cui sono uno scuotimento leggero, che mi manderebbe ancor più in confusione se non fosse per quel senso di fame che mi sta schiacciando.

Cerco di mettermi seduto su quello che capisco essere un letto, un comodo ed ampio letto da ricconi, fermandomi solo sugli avambracci a causa di una cosa che mi sconvolge più di tutto: specchiarmi in due spalancati occhi castani, terribilmente familiari, appartenenti ad un bambino dall’aria anch’essa terribilmente familiare, in ginocchio sul materasso accanto a me e che mi sta fissando.
“Che..?”
“È vivo…” bisbiglia un’altra voce infantile ed io, guardando dall’altra parte, scorgo altri due marmocchi, di poco più grandi del primo, osservarmi come se fossi un animale appena uscito da una gabbia.
Ma che cavolo..?
Infine la mia attenzione è ricatturata dal primo, il più piccolo, che mi punzecchia su un braccio come ad assicurarsi che sia vero e, facendo brevemente mente locale, non freno una domanda:
“Dov’è Newt?” anche se forse dovrei capire chi sono loro…
Trattengono il fiato tutti e tre e tutti e tre indietreggiano, compreso quello accanto a me che per poco non cade dal bordo, ma è il più grande a mormorare:
“Ha detto quella parola…”
“Quale parola?” di che parlano?
“Papà non vuole che dici quella parola.” continua il suo vicino, così che poi sia il primo a proseguire:
“Quando mamma lo fa, papà si arrabbia sempre.” resto se possibile ancora più confuso, non capendo proprio di che stiano parlando.
Che mai ho detto che..?
Un momento…
“Newt?” è questo che li ha sconvolti tanto?
Pare di sì, a giudicare da come, di nuovo, hanno quella medesima reazione sorpresa e spaventata al tempo stesso, che mi lascia ancora più perplesso.
Infine è ancora il più grande a ribadire:
“Papà non vuole.”
“Papà non vuole cosa?” domanda una voce proveniente dalla porta, facendo fare a tutti e tre l’espressione di chi è stato colto sul fatto ed io, guardando in direzione di essa, non sono sicuro di come reagire nel trovarmi davanti probabilmente l’ultima persona che mi aspettavo:
“Thomas?” sembra proprio lui e, avanzando, ribadisce la sua domanda:
“Allora?” ma, davanti alla difficoltà dei tre e al dubbio di essere io la causa di tutto questo, anche se ne immagino il motivo, cerco di sviare il discorso, alzando una mano per indicare con un dito quello vicino a me:
“Che lui salga sul letto.” così mi pare di aver capito.
Tra le altre cose.
Ho conferma di non aver sbagliato dal lungo sospiro che il nuovo arrivato emette e, raggiungendo il piccolo, lo solleva senza difficoltà da dov’è per farlo scendere, riprendendolo:
“Dylan, quante volte te lo devo ripetere?” infine guarda anche gli altri, aggiungendo:
“Anche voi due. Vi avevo detto di lasciarlo riposare.”
“Ma, papà..!” si difende uno, prima che l’altro concluda:
“Lo zio è sveglio!” zio?
Io?
Pare di sì ma che questo non sia di grande importanza, dal momento che riprende:
“Facciamo così: se voi adesso andate nelle cucine e vi fate dare qualcosa da mangiare, per questa volta chiuderò un occhio.” centra subito e non deve attendere molto di più prima che i tre, schiamazzando, corrano verso la porta, spintonandosi per decidere chi è il primo ad uscire, sotto il mio sguardo allibito.
Infine, una volta soli, domando:
“Sono… Tuoi?” annuisce, sedendosi accanto a me dove poco fa c’era il più piccolo “… Accidenti, amico. Ci hai dato dentro.” e ora è mi è tutto più chiaro, tranne un dettaglio…
“Dovevo avere un erede.” mi spiega, come se questo lo giustificasse “… Ma non volevo che restasse solo. Ne ho voluti tre, come…” si interrompe ma immagino di sapere come avrebbe concluso, sebbene cambi argomento, chiedendomi:
“Come ti senti?”
“Ho fame.” affermo, provandone una tale per cui potrei staccargli un braccio a morsi.
“Ci credo!” ridacchia “… Dormi da una settimana!”
“Una settimana?!” annuisce e io mi lascio ricadere steso “… Ci credo anch’io, allora.” poi lo guardo, ponendo a lui quella domanda che ancora non ha risposta:
“Dov’è Newt?”
“Da qualche parte nel castello, credo.” replica, per poi sospirare e mormorare:
“Da quando siamo arrivati, non siamo ancora riusciti a parlarci.” non ne dubito.
Se poi ha saputo dei figli… Non credo che l’abbia presa bene.
Accantono questo pensiero, riprendendo:
“Sta bene?”
“Sta bene.”
“Cos’è successo?” mi racconta tutto quanto, lasciandomi davvero sorpreso nel mettermi a conoscenza che è stato proprio Newt a contattarlo, non so in che modo, e che è solo grazie a quello che è riuscito a trovarci, curarmi e a portarci qui.
Infine conclude:
“Questa volta, l’hai davvero combinata grossa.”
“Già…” ammetto, sapendo perfettamente a cosa si riferisce e provando a muovere la gamba, avvertendola ancora fare male ma, prima che possa riprendere, uno schiamazzo ormai familiare giungente dal corridoio interrompe il nostro discorso e, in poco tempo, i tre bambini irrompono nella stanza, portando, chi più e chi meno, un vassoio con del cibo, che mi fa immediatamente scattare seduto, facendo sorridere l’altro.
È lui a prenderlo e a mettermelo sul letto, invitandomi:
“Mangia. Io vado a chiamartelo. Di sicuro, si sentirà meglio quando saprà che sei sveglio.” non replico, specialmente perchè, troppo concentrato su quello che ho davanti, non ho praticamente sentito le sue parole ma, una volta rimasto da solo, dopo aver divorato metà del mio piatto, guardo i miei accompagnatori, che ancora non hanno mutato la loro espressione stupita.
Mi pulisco la bocca con la manica e, dopo aver deglutito, esordisco:
“Bene, bambini. Perchè non mi raccontate un po’ questa storia di papà?” che si arrabbia tanto quando qualcuno pronuncia un certo nome?
Sembrano titubare ed io gioco l’unica carta che mi viene in mente:
“Se lo fate, lo zio Minho vi tira tutti e tre sul letto e convincerà papà a non fare storie.” credo di aver toccato il tasto giusto, vedendo lo sguardo che si scambiano.
Bene.
Ora vediamo cosa mi sono perso in questi anni e cerchiamo di capire cosa è cambiato!

 
** Thomas **
Esco dalla stanza di Minho, provando a bussare a quella accanto, ottenendo come ogni volta il silenzio e, aprendola, trovandola come sempre vuota.
Di nuovo, provo ancora una volta a cercarlo, riuscendo a trovarlo dall’altra parte del castello, nel corridoio che dà sul cortile interno.
E, quando mi guarda, per un attimo avverto come un ritorno al passato, quasi pronto a vederlo abbassare lo sguardo e andarsene via, così come faceva allora, cosa che tuttavia non accade.
Eppure, quando lo raggiungo, prima che possa dire qualsiasi cosa, è lui che mi anticipa, affermando a voce bassa:
“Quello che è successo vicino a quel bosco non significa assolutamente nulla.” lo osservo in silenzio qualche momento, sostenendo il suo sguardo che sembra supplicarmi di accettare le sue parole e, al tempo stesso, celare qualcosa che non colgo ma, non curandomi di alcuno di questi dettagli, replico:
“D’accordo. Se è quello che vuoi, d’accordo.” non capisco se rimane sorpreso, ferito o sollevato dalla mia risposta ma la cosa poco importa e, quando fa per superarmi, non indugio un momento solo a passargli un braccio intorno alla vita e, senza alcuno sforzo nonostante la sua sorpresa, a spingerlo contro il muro più vicino, chiudendo la sua bocca con la mia prima di qualsiasi protesta.
Percepisco il suo debole tentativo di spingermi via, che scompare ben presto, lasciandolo a ricambiare il mio gesto a cui ne sussegue immediatamente un secondo, che contraccambia senza la minima resistenza.
Quindi, ad un soffio dalle sue labbra, prima di riprenderle, gli faccio notare, in un sussurro:
“Questo, però, non è accaduto nel bosco.” nè in questo nè in quello.
E, prima che possa controbattere, cosa che comunque non sono sicuro avrebbe fatto, copro ancora una volta lo spazio che ci divide, tornando a baciare quelle labbra che sono due giorni che mi vieta, dopo avermele concesse dopo sei anni di lontananza.
E che adesso non intendo più lasciare.
Ci tengo a farglielo capire con le azioni, proseguendo a baciarlo e baciarlo e baciarlo, fino a quando sono costretto ad interrompermi quando volta leggermente la testa di lato per scostarsi, bisbigliando:
“Tommy… Ho capito.” mi faccio indietro a mia volta di quel poco che mi basta per guardarlo, vedendolo chinare la testa per l’imbarazzo e aggiungere:
“Ho capito, quindi… Basta farlo qui. Per favore.” significa che in un altro posto andrebbe bene?
Lo prendo per un sì, senza chiedere sapendo che se lo facessi sarebbe un no, e lo accontento, indietreggiando di un paio di passi, così che finalmente torni a guardarmi, chiedendomi:
“Perchè sei qui?”
“Minho è sveglio.” lo metto al corrente, senza tanti giri di parole, sapendo che è tutto ciò che gli interessa sapere.
Infatti, non mi sorprendo di vederlo spalancare leggermente gli occhi e, come se quello successo tra di noi non avesse la minima importanza, superarmi per dirigersi nella direzione da cui sono venuto.
Lo seguo con lo sguardo e, percependo ancora chiaramente quell’ombra fra di noi, non mi freno dall’affermare, ben deciso a togliermi ogni dubbio:
“Ti amo, resta con me.” si volta di scatto, senza celare la sua totale confusione e il suo silenzio mi consente di porre quella domanda che da anni mi tormenta:
“Se te lo avessi detto, le cose sarebbero andate diversamente?” si gira completamente nella mia direzione, riflettendo qualche attimo prima di mormorare:
“No.” non so se sentirmi sollevato o no “… Ma è stato meglio che tu non l’abbia fatto.” mi è subito chiaro il motivo di questa affermazione e, sapendo che non c’è altro da aggiungere, chiudo la questione:
“Andiamo. Ti accompagno.” ho giusto il tempo di affiancarlo e superarlo di due passi, prima che sia lui a fermarmi, bisbigliando:
“Lo…” lo guardo, sorpreso, in attesa che concluda:
“Lo… Lo provi ancora?” amarlo?
Deduco che sia questo a cui si riferisca e, fermandomi di fronte a lui affinchè mi guardi negli occhi, affermo:
“Sì, lo provo ancora.” e, per assicurarmi che non fraintenda o abbia ancora qualche dubbio, avanzo di un passo, aggiungendo:
“Ti amo. Ancora. Non ho smesso un solo momento. Non ho titubato un solo momento. E non me ne sono pentito un solo momento.” sembra restare impassibile alle mie parole, se non fosse per gli occhi che si velano appena, subito prima che li copra alla mia vista quando li chiude per sporgersi verso di me, arrivando ad appoggiare le labbra alle mie, in un tocco delicato ma infraintendibile.
E di certo non mi faccio pregare per ricambiarlo, portando una mano dietro la sua testa e l’altro braccio intorno alla sua vita, stringendolo a me e percependolo chiaramente fare altrettanto, lasciandosi completamente andare tra le mie braccia.
Ma, quando ci separiamo, prima che possa anche solo provare a ripristinare il contatto, sguscia via da me a testa bassa, superandomi, mormorando senza guardarmi:
“Vado da Minho.” non reprimo un sorriso, seguendolo, con un semplice:
“Ti accompagno.” sembra non avere bisogno di indicazioni e, a destinazione, non sono sicuro di come reagire nel vedere l’occupante della stanza circondato dai miei bambini, seduti a gambe incrociate intorno a lui, intenti a parlare, uno sopra l’altro come sempre, di qualcosa che non capisco e che nemmeno mi interessa, dato che li interrompo schiarendomi semplicemente la voce, facendoli sobbalzare tutti e tre mentre l’altro alza gli occhi verso di noi, accennando ad un sorriso e ad un cenno di saluto.
“Ehilà!”
“Non vi avevo detto che volevo che lo lasciaste riposare?” domando ai tre discoli, raggiungendoli “… E poi che ci fate su quel letto, tutti e tre?”
“Sono stato io.” interviene immediatamente Minho, mentre faccio scendere prima Chuck e poi Ben dal materasso, mentre lui fa altrettando con Dylan, che lascia tenere appeso al suo braccio, sebbene poi non mi trattenga dall’accarezzarli tutti e tre sulla testa, mormorando:
“Andate. Adesso.” non obiettano, correndo fuori dalla stanza e lasciando soli noi adulti, così che possa sospirare pesantemente e guardare il paziente, scusandomi:
“Scusa. Sono fatti così.”
“Tranquillo!” mi rassicura “… Li ho tirati su io! Sono forte, sai? In compenso, mi hanno raccontato una storia molto interessante!”
“Che genere di storia?” mi informo, sedendomi dove prima c’era proprio Dylan.
“La storia di un paparino che si infuria con la sua mogliettina quando nomina un certo nome.” mi è immediatamente chiaro il riferimento.
Eppure…
“Ho sempre cercato di non far capire loro niente…” non vogliono che vedano me o loro madre come un demone.
Anche se ammetto che, quando Teresa mi provoca, è esattamente quello che divento.
“Sapete…” continua “… Voi due ne dovreste proprio parlare.” parlare?
Di questo?
Guardo l’altro soggetto a cui è riferita la sua affermazione, che fa altrettanto ma quasi non ho il tempo di pensare a come introdurre l’argomento che mi brucia sul tempo, tornando a guardare lui:
“L’abbiamo già fatto.” non freno la mia sorpresa, così come Minho e, quando ottengo lo sguardo di chi di dovere, è ancora lui ad aggiungere:
“No?” non sapendo come replicare, mi limito ad annuire debolmente, chiedendomi interiormente se davvero quelle poche parole che abbiamo scambiato gli siano bastate anche se, a giudicare dalle sue parole, pare essere proprio così.
È solo Minho a non esserne molto convinto:
“E allora perchè quell’aria cupa?” mi faccio attento anch’io, avendo associato questo dettaglio alla sua preoccupazione per l’amico.
E, infatti è la risposta che, indirettamente, ottiene anche lui:
“Dopo quello che mi hai fatto passare, davvero hai il coraggio di chiedermelo?” alza immediatamente le mani in segno di difesa, anticipando ogni altra sua parola:
“D’accordo, d’accordo, hai ragione, scusa, mi dispiace, avrei dovuto fare più attenzione.” sposto gli occhi sul biondo, minimamente toccato da queste scuse:
“Dici così tutte le volte.” l’altro sospira, replicando, chiaramente pentito:
“Hai ragione. Ma giuro che mi dispiace. Davvero. Questa volta me la sono cavata e so che la volta prossima potrei non essere così fortunato. Ti prometto che starò lontano dai guai.”
“Sì, per quanto?” restano in silenzio per qualche attimo ed io ne approfitto per fare la mia proposta:
“Potreste restare qui. Tutti e due.” mi fissano come se avessi detto una sciocchezza ed io, per avvalorare la mia affermazione, faccio notare loro:
“Avreste cibo, un posto caldo, riparo.” la mia protezione, anche se, se proponessi questo, temo che verrei preso a calci forse da tutti e due “… Qualsiasi cosa avreste bisogno. Ed io non morirei dall’apprensione in ogni momento in cui non so dove siete.” eppure, anche le mie parole finiscono nel silenzio, interrotto poco dopo da un titubante Minho:
“Potrebbe essere un’idea…”
“Sì, certo.” controbatte il biondo “… Tu?”
“Perchè no?” non arriva una risposta, dato che, come mi ero scordato, a loro basta uno sguardo per capirsi, tagliandomi improvvisamente fuori dalla conversazione.
Infine, come mi era familiare, è ancora Newt ad andarsene, sbuffando qualcosa che non mi è dato capire ma, sulla soglia, viene fermato dal moro, che gli urla dietro:
“Non riesco ad alzarmi, quindi vedi di tornare tu!” la risposta che ottiene è solo la porta che sbatte, facendolo sospirare pesantemente, prima che si lasci ricadere con un tonfo sul letto.
Ma, prima che possa proseguire con l’argomento, ci pensa lui a cambiarlo, chiedendomi:
“Dici che guarirò?”
“Certo. Perchè non dovresti?”
“Non lo so.” ammette, scrollando le spalle “… Io non me ne intendo, ma la gamba faceva davvero male. E poi…” lancia uno sguardo verso la porta e, seguendo la stessa direzione, mi è chiaro anche quello che non si piega a confessare.
Gli appoggio una mano sulla spalla, sentendomi improvvisamente importante del poter essere io, per la prima volta da quando ci conosciamo, a consolarlo a tal riguardo:
“Non temere, dagli un po’ di tempo. Vedrai che, quando si sarà calmato, risolverete ogni questione.” tace per qualche attimo, infine mi guarda storto, commentando:
“Non lo rifare.”
“Fare cosa?”
“Dirmi cosa fare con lui. È… Inquietante. Davvero inquietante.”
“Cercavo solo…” provo a difendermi, immediatamente interrotto da lui, che scuote una mano, ribadendo:
“Lo so. Ma non lo fare. So cavarmela con lui, lo conosco da più tempo di te, se ben ricordi.”
“Ricordo, ricordo.” lo rassicuro, essendo per me difficile da dimenticare.
Non aggiunge altro ed io nemmeno, con il risultato che restiamo in silenzio fino a quando è ancora lui a riprendere, chiedendomi:
“Tra quanto potrò alzarmi?” rimango basito, riuscendo a stento a rispondergli:
“Non lo so… Qualche giorno, credo…” sbuffa, lasciandomi ancora più perplesso.
Infine mi tornano in mente le parole di Newt di anni fa, che mi portano a commentare:
“Proprio non riesci a stare fermo.”
“No, infatti.” ammette, con un sospiro “… Mi auguro solo di non morire in questo letto…”

 
Continua…

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