Destino (TMR) – Capitolo X


** Thomas **
Comincio a svegliarmi, sobbalzando non appena mi rendo conto che le mie braccia sono vuote, esattamente come non dovrebbe essere e, mettendomi seduto quasi di scatto, ho bisogno di qualche momento per far vagare gli occhi intorno a me fino a vedere chi di dovere, esattamente dove, forse, avrei dovuto aspettarmi: accanto a Minho.
Mi lascio andare ad un lungo sospiro, per nascondere lo sbadiglio che mi assale e, stiracchiandomi, mi rendo anche conto di star stringendo in mano qualcosa che, quando mi affretto a controllare, mi accorgo essere uno dei due dadi.
Immediatamente, controllo nella tasca interna alla tunica, che si rivela essere vuota, e poi tutto intorno a me, senza scorgere il suo gemello, motivo per il quale riporto lo sguardo su Newt, totalmente ignaro del mio brusco risveglio, sospirando di nuovo, questa volta di sollievo.
Ma, per esserne sicuro, lo raggiungo, approfittando di quei pochi passi che ci separano per mettere via il mio tesoro e, inginocchiandomi accanto a lui, bisbiglio:
“Ciao.” mi lancia uno sguardo rapido, mormorando poi nel medesimo modo:
“Ciao.” ma è proprio l’ansia nel suo sguardo a farmi capire che non è intenzionato ad evitarmi.
Semplicemente è in pensiero per Minho.
Non me ne sorprendo.
E lo capisco.
“Come andiamo?” mi informo, seguendo il suo modo di tamponargli la fronte con un panno bagnato.
“Non lo so.” sussurra “… Non si sveglia.” il primo istinto che mi viene è quello di dirgli di non preoccuparsi ma, ricordando fin troppo bene lo sguardo di fuoco che mi lanciò quando azzardai a dire che un graffio su Minho non era nulla di grave, mi sforzo di reprimerlo, potendo solo appoggiargli una mano sulla spalla, essendo l’unico modo che riesco ad immaginare per cercare in qualche modo di tranquillizzarlo.
Infine giunge anche il medico che, senza curarsi del ragazzo accanto a me ma facendomi comunque un cenno di riverenza, controlla a sua volta la situazione, senza darci grandi informazioni.
Credo che sia proprio questo che indispettisca Newt, tanto da portarlo a domandare, senza celare la sua irritazione:
“Allora?”
“È stabile.” risponde semplicemente il dottore, chiaramente senza soddisfarlo.
“Cosa vuol dire è stabile?”
“Che è stabile. La situazione è sottocontrollo.”
“Sottocontrollo?” ripete il biondo, alzando leggermente la voce “… Non sta migliorando!”
“La febbre è scesa.”
“Newt.” intervengo, prima che il diretto interessato possa controbattere, attirando immediatamente la sua attenzione e, soprattutto, la sua occhiataccia “… Stabile vuol dire che non sta peggiorando.” credo “… E questo significa che abbiamo la possibilità di raggiungere l’avamposto per curarlo come si deve nei tempi stabiliti.” mi volto verso l’esperto, in cerca di conferma:
“Giusto?”
“Giusto, mio signore.”
“E non poteva dirlo prima?” a questo non ho la prontezza di replicare, anticipato dall’altro che si corregge:
“Anche se…” lo guardiamo entrambi “… L’avamposto è una soluzione temporanea, se si vogliono prestare le cure più ottimali la soluzione migliore è sempre e solo il castello.” avverto il mio vicino ammutolirsi ma questa volta non voglio immaginare quali possano essere i suoi pensieri, visto come sono andate le cose l’unica volta che eravamo lì.
Eppure, so di non poter non guardarlo, in attesa che mi faccia capire che cosa devo fare.
Sostiene il mio sguardo qualche attimo, prima di voltare il suo verso Minho ed infine riportarlo a me, replicando, sforzandosi di non abbassarlo:
“Va bene…” ne rimango sbalordito:
“Davvero?” annuisce e, guardando nella stessa direzione di prima, mi ricorda:
“Minho viene prima di tutto.” già.
Come ho potuto dimenticarlo?
E questo mi porta terribilmente indietro nel tempo, al periodo in cui sembrava non accorgersi affatto di me.
Eppure, trovo presto consolazione, dal momento che mi basta abbassare lo sguardo sul suo collo per individuare una collanina che, fino a ieri, di certo non aveva e che, immagino, mi auguro, possa essere una cosa sola.
Non resistendo, non riuscendo ad esserne sicuro per quanto mi sforzi di spingere gli occhi lungo il filo di metallo, non mi rimane che prenderlo, facendolo sobbalzare per la sorpresa ma riuscendo a sfilare il tutto da sotto la sua tunica, ottenendo conferma che si tratta proprio di quello, motivo per il quale non freno un sorrisino, che forse lo lascia ancora più confuso.
Ma non gli do spiegazioni, limitandomi a schioccargli un bacio sulla tempia, esortandolo:
“Andiamo, allora.” mi alzo, deciso a raggiungere il mio cavallo, sotto il suo sguardo ancora perplesso.
“Non ti capisco.” ammette, senza mutare espressione ed io, tornando a guardarlo, non posso che sorridere, replicando:
“Davvero?” ci riflette qualche secondo, prima di riportare il pendente sotto l’abito e correggersi:
“No, forse invece sì. Un pochino.” salgo sulla mia cavalcatura per raggiungerlo e, una volta di fronte a lui, gli tendo una mano, invitandolo con essa a raggiungermi.
Non indugia a prenderla, così che possa issarlo dietro di me, lasciando che, di quel poco che resta, se ne occupino i soldati circostanti, ritrovandoci pronti a partire nell’arco di veramente poco.
Mi prendo ancora un momento per guardare il mio accompagnatore, pensando a quanto in questo istante vorrei baciarlo, baciarlo davvero, possibilmente a lungo, tanto a lungo, decisamente più a lungo di ieri ma, ben sapendo che le priorità di entrambi sono altre, e tali devono essere, mi convinco a rimandare, preferendo raggiungere la nostra destinazione, con l’obiettivo di fermarci una notte sola, quella che serve per organizzare il ritorno al castello e, magari, far riprendere Minho.
Tuttavia, otteniamo solo la prima parte dei miei obiettivi e, al mattino, quando vado a controllare le condizioni di quest’ultimo, lo vedo ancora addormentato, sebbene costantemente vegliato da Newt, che ha lasciato il suo fianco solo per brevi momenti.
Ma, questa volta, prendo da parte il medico, essendo il primo a volere dei chiarimenti:
“Perchè non si sveglia?” se è stabile, se si rimetterà, se non è nulla di così grave (anche se gli ho proibito di dire questo davanti a Newt), perchè è ancora privo di sensi?
“Maestà, il sonno è indotto.” indotto? “… Perchè non senta dolore e, dormendo, la ferita possa guarire prima.” perchè non l’ha detto subito? vorrei chiedere ma, non sapendo se poter gestire la risposta, preferisco tacere, dandogli il permesso di congedarsi per terminare i suoi preparativi.
Quindi raggiungo Newt, andando a sedermi sul letto accanto a Minho ed è il biondo a commentare:
“Allora lo vedi che anche tu sei preoccupato…”
“Hai sentito?” annuisce appena ed io, lasciandomi andare ad un lungo sospiro, gli ricordo:
“Minho è mio amico.” anzi, lo sento quasi come un fratello, anche per me, anche se il nostro legame è molto più giovane del loro “… È normale che lo sia, anche se vorrei…”
“Non devi sforzarti di essere forte, specialmente se pensi di farlo per me.” afferma, bloccandomi le parole in gola “… E specialmente in certe circostanze.” viene a sedersi al mio fianco, mentre cerco in qualche modo di giustificarmi:
“È che io…”
“Se vuoi preoccuparti, fallo. Senza pensare a come starei io. Tanto, qualunque cosa tu possa dire non servirebbe a farmi stare meglio, dovresti saperlo.”
“Lo so.” ammetto, lasciandomi andare ad un sospiro, di rassegnazione e sollievo al tempo stesso, intanto che lui pone la sua attenzione sul ragazzo ancora privo di sensi, dandomi inconsapevolmente la possibilità di osservarlo qualche attimo, pensando, arrivando a metterlo al corrente:
“È la seconda volta che fai una cosa come questa.” mi guarda confuso ed io, consapevole che è normale che non ricordi, gli spiego:
“È la seconda volta che dici che per te non è importante una cosa che invece penso che per te lo sia.” la prima volta fu quando mi disse che per lui non era importante sapere chi fossi.
E poi… C’è stato adesso.
E forse non si rende conto di quanto questo mi faccia sentire accettato, con i miei punti di forza e con le mie debolezze.
“Continuo a non capire.” accenno ad un sorriso, liquidando la questione:
“Non importa.” si arrende dopo qualche secondo in cui attende comunque una spiegazione e, quando comprende che non dirò più di quanto ho già fatto, torna con lo sguardo verso il suo compagno, riprendendo:
“Minho è incredibilmente forte. Se è vero che si riprenderà, vedrai che lo farà.” riduco la distanza che ci separa, avvicinandomi a lui e, avendo percepito il suo tentativo di consolare anche me, cerco di fare altrettanto:
“Si riprenderà, non ho motivo di dubitarne. Dobbiamo solo aspettare.”
“Già…” sospira, lasciando cadere l’argomento e, nel silenzio che cala tra di noi, non riesco a non sentire l’impulso di volergli chiedere se davvero se la sente di tornare a palazzo con me.
Ma, temendo più che mai la risposta, preferisco passare oltre, limitandomi ad avvicinarmi un po’ di più fino a dover solo alzare una mano per poterla appoggiare al suo braccio.
Poi, prima che uno dei due possa cominciare qualsiasi genere di conversazione, veniamo raggiunti da una delle guardie, che mi informa che è tutto pronto per la partenza e che manchiamo solo noi.
Non mi resta che guardare il biondo, mormorando:
“Andiamo?” annuisce senza indugio ed io conosco bene il motivo, che mi porta ad alzarmi e a tendergli una mano affinchè mi segua e, dopo che l’ha presa dandomi la possibilità di condurlo in cortile, dobbiamo solo attendere che gli ultimi uomini della scorta ci raggiungano, con Minho in custodia loro e del medico.
E, senza tante parole, prendiamo la via che ci porterà a destinazione, distante solo un paio di giorni che, malgrado desideri con tutto me stesso che siano i più lunghi della mia vita, trascorrono fin troppo velocemente, consentendoci di raggiungere la nostra meta verso metà pomeriggio.
Aiuto Newt a scendere da dietro di me e, lasciando il mio destriero agli scudieri, preferisco raggiungere gli addetti a Minho, aiutandoli a portarlo nelle stanze del medico, così che abbia tutto ciò che gli occorre per terminare le sue medicazioni e, prendendo in disparte il biondo, lo informo:
“Non ci vorrà molto affinchè lo medichi, ti faccio preparare una camera.” scuote la testa, replicando:
“Voglio restare con Minho.”
“Lo so.” gli ricordo “… Ma non resterà qui, quando il medico avrà finito. Lo farò spostare nell’ala degli ospiti, vicino a te. Tu, intanto, riposa.”
“Sto bene.” insiste, tornando a guardare verso l’occupante delle stanze “… Non ce n’è bisogno.”
“Newt.” non mi arrendo “… Sei stanco. È stato un viaggio intenso e gli ultimi giorni non sono stati di certo i migliori della tua vita. Minho è in buone mani ma ha bisogno di riposare. Dagliene il tempo: fatti un bagno e dormi un po’. Domani riprenderai da dove lo hai lasciato. D’accordo?” non risponde ed io provo a fargli notare:
“Se non lo fai, avrà qualcosa in più di cui preoccuparsi, oltre alla gamba.” ed io non voglio un occhio nero perchè non ho fatto quello che avrei dovuto.
Capisco di aver centrato il punto dal modo in cui mi guarda e, indispettito, ribatte:
“Usi questo trucco con me?” sì, se può servire.
“Lo penso sul serio.” sostengo il suo sguardo, ribadendo il concetto un’ultima volta:
“Per favore.” aggiungerei anche un fallo per me ma, sapendo che sarebbe veramente inutile, mi risparmio l’umiliazione di venire respinto così palesemente e credo di aver fatto bene, stando al sospiro a cui si lascia andare, per poi mormorare:
“E va bene. Ma voglio essere informato se succede qualcosa. Qualsiasi cosa.” annuisco, affermando:
“D’accordo.” infine lo invito:
“Vieni. Ti accompagno.” annuisce, venendomi docilmente dietro solo dopo aver lanciato ancora uno sguardo a Minho e, di fronte alla sua stanza, lo informo:
“Darò disposizioni che lo portino in quella qui accanto. Ma tu adesso non ci pensare. Riposati.” annuisce ancora e, dal momento che non sembra voler aggiungere altro, lo lascio da solo, in modo da poter seguire il mio stesso consiglio e dirigermi verso le mie stanze.
Non ci arrivo, dato che svolto solo due angoli prima di venire travolto da tre piccoli tornadi che, schiamazzando a tutta voce cercando di farsi prendere in braccio tutti insieme, mi danno il loro bentornato.
Per fortuna arriva anche Teresa a tenerli buoni, sebbene rimangano attaccati uno alla mia vita e gli altri due alle mie gambe e lei, raggiungendomi, si rivolge a me, salutandomi:
“Bentornato. Ci sei mancato molto.” abbasso lo sguardo sui miei bambini e, accarezzandoli sulla testa uno per volta, replico:
“Anche voi mi siete mancati.” riprendono a fare baccano ma la voce che sovrasta tutte le loro è ancora quella della mia consorte:
“Se sei tornato, significa che li hai trovati.” annuisco “… Come è andata?”
“Minho è ferito, il medico lo sta curando ed è ottimista.”
“E lui?” mi prendo un lungo momento per studiarla in silenzio, seriamente, cercando di capire dove vuole andare a parare questa volta e senza alcuna intenzione di litigare con lei davanti ai bambini ma, visto che non sembra essere nemmeno la sua intenzione, la accontento:
“Lui sta bene.” per quanto può star bene con tutto quello che sta succedendo.
Sostiene a sua volta il mio sguardo, prima di abbassarlo sui piccoli, cercando di convincerli a lasciarmi andare, cosa che non paiono intenzionati a fare fino a quando non avranno ottenuto una spiegazione sulla mia assenza improvvisa.
La risposta che do è l’unica che reputo comprensibile per loro, chinandomi per essere alla loro stessa altezza:
“Sono andato a prendere delle persone molto importanti che avevano bisogno di me.”
“Importanti come?” domanda Chuck, il più grande, decisamente troppo sveglio per la sua età ma, in questo caso, la risposta viene da sola:
“Come fratelli.”
“Fratelli tuoi?” annuisco, confermando anche a parole:
“Fratelli miei. Ma lasciateli stare per qualche giorno, devono riposare.”
“Anche vostro padre deve riposare, quindi voi piccole pesti tornate a studiare.” li riprende la madre, facendoli scappare via di corsa ed io ben immagino cosa stiano andando a fare.
È proprio per questo che urlo dietro loro:
“Dylan, non saltare sul letto!” anche se so che lo farà.
Non giunge risposta ed io, sospirando pesantemente, non ho altro da fare se non risollevarmi e, scontrandomi con l’espressione eloquente di Teresa, la fisso in silenzio, sfidandola a dire qualsiasi cosa.
Questa volta, però, non tace ma, non appena apre bocca, già conoscendo la discussione che ne si genererà, la anticipo, liquidandola:
“Sono stanco. Voglio riposare.” e, senza darle il tempo di controbattere, mi affretto a lasciarla lì, in mezzo al corridoio, per raggiungere le mie stanze e chiudermi in esse, con tutto l’intento di farmi un bagno e riposarmi, mentre tutte le mie ansie vengono di nuovo a galla.
Ci siamo ritrovati, è vero. E sembra che i nostri sentimenti l’uno per l’altro non siano mutati.
Ma troppe cose ancora non sono cambiate e ho come la sensazione che di nuovo non riuscirò ad affrontare con lui quello che devo affrontare.
E che scivolerà via dalle mie mani senza che in qualche modo possa trattenerlo.
Ma non voglio che accada.
Questa volta intendo lottare.
Non mi arrenderò senza averlo fatto.

 

Continua…

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