My world to save (KnB) – Capitolo VIII


** Aomine **
Continuo a camminare svogliatamente lungo la strada che sto percorrendo al buio, senza preoccuparmi di dove mi stia portando.
Basta che vada avanti. Non importa dove sto andando.
Dove sto andando…
Dove sto andando?
Mi blocco, voltandomi intorno e rendendomi conto che non esiste una strada e che tutto intorno a me c’è solo fitta oscurità, che mi impedisce di vedere quello che mi circonda.
È la strada giusta? O dovrei tornare indietro?
E indietro dove? Come, se non so nemmeno come sono arrivato qui?
Dove sto andando? Dove devo andare? L’unica cosa che so è dove voglio andare: voglio tornare. Da Kise.
Questa volta l’ho davvero combinata grossa e lui, sicuramente, sarà preoccupato per me.
E per me starà… Certamente…
Avverto un movimento accanto a me, che mi costringe a fare un paio di giri su me stesso per riuscire a catturare con lo sguardo quell’ombra che sfugge continuamente, fino a quando mi blocco, rendendomi conto di una figura che prima non c’era.
Sono sicuro che non c’era. L’avrei vista. L’avrei certamente vista.
Dato che è quella di Kise.
Eppure, sebbene il mio sguardo riesca a cogliere perfettamente la sua persona, non so come mi è chiaro che la cosa non è reciproca, così come mi è chiaro che, se provassi a chiamarlo, non emetterei alcun suono, se provassi ad afferrarlo, la mia mano stringerebbe il vuoto.
Eppure, lui è qui. Davanti a me. Con lo sguardo triste. Con quello sguardo triste che io gli ho procurato.
E per il quale dovrei scusarmi. E al quale dovrei porre rimedio.
E infatti, come una scena al rallentatore vissuta un’infinità di volte nella mia immaginazione, china il capo, nascondendo il suo volto al mio sguardo e dandomi le spalle, cominciando a camminare lentamente.
Ne resto paralizzato per alcuni secondi, di cui me ne bastano meno della metà per capire che cosa sta succedendo: se ne sta andando.
Mi sta lasciando.
Ma io… Non voglio.
Non lo permetterò.
Mi sforzo al massimo per obbligare le mie gambe a risvegliarsi dal torpore in cui sono cadute per seguirlo, provando a chiamarlo ma senza che la mia voce emetta alcun suono.
Ciononostante, questo non mi impedisce di arrendermi, così come il fatto che, ad ogni passo che copro per avvicinarmi a lui, sembra che la distanza tra di noi aumenti e che la velocità con cui si allontani da me sia sempre maggiore.
Adeguo il passo, più deciso che mai a non perderlo, a raggiungerlo, ad afferrarlo, gridando più che posso il suo nome nel silenzio, ritrovandomi ben presto a correre, nonostante le gambe dolenti per l’intorpidimento.
Eppure… Non sarà questo a fermarmi.
Non sarà niente a fermarmi. Io… Non lo perderò, dovessi rinunciare a tutto.
Finalmente pare fermare la sua fuga, a qualche metro da me e, nel momento stesso in cui smette di correre, anche le mie gambe si arrestano da sole, più dolenti e deboli che mai. Mi piego sulle ginocchia per riprendere fiato ma senza distogliere gli occhi dalla sua figura, vedendola in questo modo abbassare maggiormente la testa, mentre le sue spalle hanno un sobbalzo e il gelo si impadronisce di me.
So esattamente quello che sta succedendo: lui piange.
Piange perchè lo sto facendo soffrire. Piange perchè pensa che me ne stia andando.
Ma non me ne sto andando. Non lo lascerò. Non ora che ho deciso.
Faccio un ultimo sforzo, vincendo il freddo, il dolore e la mancanza di sensibilità per compiere quello scatto che, ne sono sicuro, mi permetterà di afferrarlo, rompendo il silenzio nella mia gola e, squarciando il silenzio che mi circonda, gridando il suo nome.
Deve sapere. Deve sapere la mia decisione.

 

** Kise **
Mi asciugo l’angolo dell’occhio con un gesto nervoso, cercando di non farmi notare dall’equipe medica che, da tutto il giorno, non fa che fare avanti e indietro vicino alla stanza, monitorando le sue condizioni ma senza informarmi di alcun cambiamento, come se io nemmeno fossi presente in questa stanza, per poi riportare lo sguardo sul mio compagno, ancora immobile e senza cenni di ripresa.
La notte è passata e sembra che il momento critico sia superato. Eppure… La mano che stringo e che non ho mai accennato a lasciare non ha dato segni di ricambiare la mia stretta e il suo viso continua ad essere perfettamente immobile.
Solo il suo respiro debole e il segnale acustico che scandisce il suo battito lento mi dicono che non è tutto perduto.
Non l’ho ancora perso. Non mi ha ancora lasciato.
Tuttavia… Una parte di me non può che chiedersi per quanto ancora. Per quanto ancora riusciremo a stare insieme?
Per quanto ancora mi vorrà al suo fianco? Ammesso e concesso che mi voglia ancora, al suo fianco…
Deglutisco a vuoto, cercando inutilmente di sciogliere il nodo che mi si è formato in gola, mantenendo gli occhi ben fissi su quel volto inespressivo, pregando con tutto me stesso per un minimo cambiamento su di esso.
Mi piego sulle ginocchia, continuando a stringere la sua mano nelle mie, portandole al viso e aggrappandomi alla sua per non precipitare nello sconforto.
Voglio che si svegli.
Voglio che torni da me.
E quando lo farà… Giuro su qualsiasi cosa io possa giurare che non permetterò che quello che ci lega svanisca come in un sogno.
Quando tornerà… Combatteremo insieme per recuperare quello che resta di noi. E ripartire. Insieme. Da lì.
Ma per farlo… Deve svegliarsi.
Deve… Tornare.
Anche se non vuole tornare da me, deve tornare.
Voglio che torni.
Ti prego… Anche se non per me, torna.
Ti prego.
Torna.
E, quasi in risposta alle mie preghiere, sono certo di avvertire finalmente la sua mano ricambiare la stretta delle mie e, portando di scatto la mia attenzione su di lui, ho la conferma di quanto speravo nel vedere la sua testa ricadere di lato e gli occhi sforzarsi per aprirsi.
“Aominecchi!” sembra sentirmi e, con un rantolo affaticato, si volta nella mia direzione, riuscendo a sollevare le palpebre nel momento in cui mi inginocchio a terra accanto al lettino, portando una mano sul suo viso affinchè percepisca completamente che, sì, sono accanto a lui.
Riesco a trovare il suo sguardo, ancora offuscato, e, nonostante la mascherina che indossa lo sento ugualmente bisbigliare:
“Ki… se…” avverto gli occhi lucidi ma, prima che possa dire qualsiasi cosa, è lui a freddarmi, concludendo, abbassando le palpebre e in un debole soffio:
“È finita.” fi… Finita?
Non ho tempo di assimilare completamente le sue parole nè di reagire, venendo immediatamente circondato da medici ed infermieri che si frappongono tra di noi e di cui una, senza alcun garbo, mi spinge fuori dalla stanza, chiudendomi fuori da essa e quasi sbattendomi la porta in faccia.
Tuttavia, questa è l’ultima delle mie preoccupazioni dato che, finalmente, metabolizzo le sue parole: è finita.
Finita…
Finita… Tra di noi?
Mi ha… Lasciato?
Ed è… Tornato per… Dirmi questo?
Non riesco a mettere a tacere questo pensiero, nè a distrarmi con altro, neppure quando i medici, con il loro concitato andirivieni, mi spingono letteralmente in parte e, nel giro di un po’ di tempo, a loro si uniscono i suoi colleghi all’interno della stanza.
Quanto a me, vengo raggiunto nel tardo pomeriggio da Kasamatsu-san e Moriyama-san ed è il primo a sincerarsi delle mie condizioni, esordendo:
“Abbiamo sentito che Aomine si è svegliato. Avresti dovuto chiamarmi! Come stai?” c-come sto… Io?
Lo guardo, cercando di mettere insieme le parole per rispondere alla sua domanda: credo che mi abbia lasciato.
Era da un po’ che sospettavo che stesse prendendo in considerazione l’idea di farlo ma… Davvero è stata la prima cosa a cui ha pensato, quando si è svegliato?
A… Chiudere… Con me..?
“D’accordo…” mormora, inducendomi con una mano sulla spalla a spostarci in uno spazio più tranquillo “… Lui come sta?” l-lui?
Essendo una domanda più facile a cui rispondere, scuoto debolmente la testa, ammettendo:
“Non lo so.”
“Come sarebbe a dire che non lo sai?!” esclama Moriyama-san “… Non dirmi che non ti hanno detto niente!” di nuovo, faccio lieve cenno di no, scatenando così una sua lunga serie di imprecazioni e commenti sul modo di comportarsi, a cui, sotto lo sguardo attento di Kasamatsu-san, presto attenzione solo in parte, potendo solo pensare a quelle parole che ho sentito.
È finita.
“Kise.” mi chiama quest’ultimo, riportandomi di poco alla realtà “… Non so cosa sia successo ma… Ricordi cosa ti ho detto ieri?” ieri?
No.
So solo che ieri… Ieri stavamo ancora insieme.
“Qualsiasi cosa sia successa o stia succedendo in quella stanza, aspetta di vedere con i tuoi occhi. Poi potrai trarre le tue conclusioni. D’accordo?” conclusioni….
Guardo verso la sua camera, dove le persone in più che la occupano tolgono dalla mia visuale il letto presente all’interno e, soprattutto, chi lo occupa.
Che conclusioni potrei trarre?
È finita.
C’è poco da trarre.
Ma… Crede… Che io sia d’accordo?
Crede davvero… Che glielo permetta? Che lascerò che se ne vada… Senza combattere?
Se è così… Si sbaglia di grosso.
Io non voglio… Che tutti gli sforzi che abbiamo fatto fino ad ora diventino vani solo perchè non sono stati sufficienti.
Io… Non voglio rinunciare a quello che ci legava.
Io… Non voglio. Non glielo… Permetterò.
Ciononostante le ore passano più in fretta di quanto avrei voluto ma, tutto ciò che riusciamo a sapere, solo grazie a Kasamatsu-san che pretende informazioni da un medico frettoloso, è che si è svegliato, i parametri sono nella norma, che lo sposteranno a breve in un altro reparto e che deve riposare.
Riposare.
Riposare.
Riposare.
E per loro quello sarebbe riposare?
Continuo a camminare nervosamente su e giù lungo il piccolo atrio del nuovo reparto in cui ci siamo spostati, dal quale riusciamo a vedere perfettamente la stanza in cui ora dovrebbe riposare, stipata dei suoi colleghi che, naturalmente, gli stanno appresso, certamente parlando di lavoro.
Ma, quando ho provato ad avvicinarmi, mi hanno detto che non potevo entrare, che avevano questioni urgenti di cui discutere.
Urgenti.
Credono che la sua salute non lo sia?
E credono… Che non lo sia nemmeno il nostro rapporto?
E soprattutto… Credono davvero che, solo perchè non ho mai voluto mettere becco nel suo lavoro, *adesso* me ne starò davvero qui a guardare?
“Sai…” avverto Moriyama-san bisbigliare apprensivo a Kasamatsu-san, nonostante il suo sguardo rimanga ben fisso su di me “… Forse dovresti fare qualcosa, prima che…”
“Ora basta.” non sanno davvero con chi hanno a che fare.
Se deve riposare, riposerà, fosse l’ultima cosa che fa.
“Esploda, appunto.” guardo entrambi, senza frenare il mio sfogo, nonostante il groppo in gola che fa quasi male:
“Se pensano che faccia finta di niente, si sbagliano. Si sbagliano di grosso.” così come se credono che me ne stia qui buono buono ad aspettare i loro comodi.
Non mi interessa che voglia lasciarmi o no. Lui… Deve riposare.
“Kise..!” ci provano ma non consento loro di fermarmi, dirigendomi a grandi passi verso la camera e spalancando la porta, incurante del fatto che sbatta e che la metà dei presenti sobbalzi.
“Fuori.” ordino, avanzando autoritario nella camera, in modo da essere certo di rientrare nel campo visivo di tutti.
“Non puoi stare qui.” mi riprende Susa-san, che zittisco con uno sguardo, ribattendo:
“Se *io* non posso stare qui dentro, voi potete ancora meno di me.” sono ancora il suo compagno e loro i suoi colleghi.
Con che diritto credono di venire prima di me?
“Kise.” ci riprova Tanaka “… È una questione urgente, si tratta di un caso delicato e…”
“È *sempre* un caso delicato.” lo interrompo “… Ma adesso basta. Ho detto fuori.” poi mi volto verso chi occupa il letto e, strappandogli letteralmente di mano i fogli che regge per gettarli sopra tutti quelli che ricoprono le lenzuola, riprendo:
“Tu dovresti riposare.” li raduno malamente uno sull’altro, sbattendoli sopra il tavolino lì vicino e, ignorando il suo “ahia”, spingo la testiera del lettino a cui è appoggiato affinchè torni sdraiato, per poi tornare a guardare gli altri, ancora qui e senza accennare a volersene andare.
Evidentemente non sono stato abbastanza chiaro.
“Ki-Kise-san…”
“Ho detto FUORI!”
“Su, facciamo come ha detto.” interviene Imayoshi-san, dopo un breve momento e facendo cenno agli altri di avviarsi verso la porta, sebbene poi indugi sulla soglia per voltarsi verso il mio compagno e aggiungere, non del tutto convinto:
“Kise ha ragione, riposa. Noi ci vediamo domani.” lo raggiungo, sbattendo senza tante cerimonie l’uscio, sibilando:
“Non ci pensate neanche.” finalmente soli e memore delle sue parole, cerco di non lasciarmi sopraffare dalle lacrime, cosa che viene messa a dura prova quando mormora semplicemente:
“Kise.”
“No.” lo zittisco immediatamente, voltandomi verso di lui nonostante sappia di non potergli nascondere il mio stato d’animo “… C’è un limite… A quanto puoi farmi preccupare…” e adesso l’abbiamo superato, quindi “… Tu… Devi riposare…” e loro… Sicuramente non glielo lasceranno mai fare.
Quindi, finchè posso…
“Kise.”
“No!” non voglio che parli.
Non deve parlare. Non adesso… Non ancora… Perchè so che, se lo facesse, metterebbe per davvero fine a tutto quello che c’è fra di noi. Ed io… Io…
“Io…” io… “… Io… Non ti permetto…” di aggravarsi… Nè di dire che è finita…
Non voglio… Non può…
“Kise.”
“No!” insisto, nonostante le lacrime che, pur provando a trattenere, cadono inesorabilmente sul mio volto “… Tu non… Non puoi…” lasciarmi.
Non per davvero.
“Ho chiesto il trasferimento.” dichiara, senza attendere che concluda e freddandomi ancora una volta.
Il… Trasferimento.
Quindi… La sua decisione… È definitiva?
Senza curarsi di… Quello che potrei dire? O di quello che potrei… Fare?
No.
No.
“No!” esclamo, smettendo completamente di trattenere il mio pianto “… No! Non puoi..!” senza di me..! “… Io..! Non lo accetto! Io..! Non intendo arrendermi! E se questo significa andare..! A Gifu..! O a Okinawa..! O a Capo Soya..!” o a chissà quale dipartimento voglia andare “.. Io..! Io verrò..!” con te!
Lo seguirei dall’altro capo del mondo, se questo significasse avere anche solo una remota possibilità di continuare a stare insieme.
“Kise, cosa..?”
“Io non…” insisto ancora, incurante della sua espressione completamente smarrita “… Non mi importa… Dove vuoi andare… Ma non ti permetto… Di andare… Senza… Di me.” voglio che stiamo insieme.
Nonostante il periodo che stiamo passando, io…
Io non voglio che finisca.
“Kise…” mi riprende, con un sospiro stanco, abbandonandosi sul cuscino del letto “… Non hai capito…” invece ho capito benissimo.
Ha detto che è finita.
Ha detto che ha chiesto il trasferimento.
C’è poco da capire.
“Invece sì…” singhiozzo, abbassando la testa per cercare di calmarmi “… Ma io… Non ti permetto… Di lasciarmi.” resta in silenzio per qualche secondo, prima di sospirare spossatamente, abbandonandosi completamente sul materasso:
“No, non hai capito. Siediti.” perchè?
Perchè mi possa dire chiaramente che… Non vuole più stare con me?
Scuoto con decisone la testa.
Non se ne parla neanche.
“Kise.” riprende, categorico, nonostante il tono stanco “… Siediti. E ascoltami. Senza vaneggiare.” vorrei impuntarmi ma, purtroppo, sono ben consapevole di non avere motivazioni che mi giustificano a non assecondare la sua richiesta, così come che il mio intestardirmi potrebbe solo aggravare le sue condizioni e, asciugandomi inutilmente gli occhi, vado a sedermi dove mi ha indicato, in attesa del verdetto finale.
Ma davvero non c’è più niente che io possa fare, per evitare questo momento?
Davvero tutto quello che abbiamo fatto alla fine sta rivelando… Inutile?
“Non so cosa ti sia venuto in mente ma…” esordisce debolmente, sebbene poi il suo tono si veli di sorpresa nell’esclamare:
“Capo Soya? Che cavolo, Kise! Cosa diamine stai pensando?!”
“Non voglio che dici che vuoi lasciarmi…” confesso, con un filo di voce tremante.
Non ancora.
Se proprio la fine è inevitabile, non potrebbe almeno… Lasciarmi il tempo che gli serve per rimettersi?
“Di che stai parlando?”
“Quando ti sei svegliato…” gli ricordo, mentre le lacrime ancora mi cadono sul volto “… Hai detto che era finita… E ora… Il trasferimento… Io… Ti prego… Non lasciarmi.” sono disposto a tutto, pur di stare con lui.
Davvero a tutto.
Anche solo… Per avere almeno ancora qualche giorno.
Fossero anche pochi…
“Io non voglio lasciarti.” afferma, lasciandomi di stucco, sebbene questa volta per un motivo completamente diverso dal solito.
Infatti, risollevo di scatto la testa, guardandolo e lui, con uno sforzo dovuto al braccio ferito, si aggrappa con quello sano al sostegno del letto per rimettersi seduto e, voltandosi verso di me, allunga una mano ad asciugare le mie lacrime, ribadendo:
“Che cavolo, d’accordo che le cose non stanno andando proprio benissimo ma..! Non ci penso neanche, a lasciarti. Non è mai stata nemmeno un’opzione. Quindi non dirlo, nemmeno per scherzo.” ma allora..? Le sue parole..? Le sue notti sul divano..? Quel qualcosa a cui doveva pensare da solo..?
Non riesco a parlare, completamente travolto dal calore e dalla dolcezza della sua mano sul mio viso, che ferma immediatamente le mie lacrime e che gli consente di spiegarmi, senza accennare a distogliere lo sguardo dal mio:
“Ho chiesto il trasferimento non in un’altra città ma in un’altra sezione, per questo sono tanto in subbuglio. Ho chiesto di tornare dov’ero prima. Ho chiesto di poter tornare a lavorare con Kasamatsu-senpai e gli altri.” lo fisso incredulo.
Lui… Davvero…
“Cos..? P-Perchè?!”
“Come perchè?” mi accarezza lentamente una guancia, portando il suo tono ad un soffio “… Il motivo ce l’ho davanti agli occhi. Guardati: quando è stata l’ultima volta che hai sorriso? L’ultima volta che sei stato bene? L’ultima volta che non sei stato in pena per me? Non puoi credere seriamente che non me ne sia accorto. E sappiamo entrambi cos’è che ti fa stare così. Ed io non posso più continuare.”
“Ma a te…” mormoro, portando in automatico le mani a cercare la sua “… Quando hai cominciato…” questo lavoro piaceva, ne era talmente entusiasta ed io “… Non voglio che tu rinunci…” solo per colpa mia.
Scuote la testa, ribattendo:
“Ci ho pensato a lungo. E alla fine ho preso una decisione. Una decisione che avrei dovuto prendere prima. Kise. Amo il mio lavoro ma amo di più te. Le cose non cambieranno, posso smettere di illudermi che lo facciano. E io non posso andare avanti, se perdo te. E non intendo continuare a farti stare male. È finita. Questa situazione è finita.” lo guardo, sentendomi male di fronte alla sua convinzione.
Ci è già passato. Più di una volta.
Più di una volta si è aggrappato ad una certezza che poi gli è crollata sotto i piedi e io non voglio… Che si ferisca più di quanto abbia già fatto.
“E se non dovessero accettare?” sono già sotto di personale, dubito che gli permetteranno di andarsene, aggravando così una situazione già precaria.
Eppure, il suo sguardo già mi dice che ha preso in considerazione la cosa prima ancora che parlassi e, di conseguenza, che ha già un’alternativa anche a questo:
“Lascerò il lavoro.” afferma, senza alcun dubbio e senza alcuna incertezza, lasciandomi ancor più sbigottito “… Troverò qualcos’altro. Ma non lascio te, quindi…” scivola con la mano dietro la mia testa, impedendomi, in caso volessi, di distogliere lo sguardo dal suo quando conclude:
“Non lasciare me.” e, specchiandomi in quello sguardo deciso che conosco fin troppo bene, che mi fa ancora battere il cuore e capire senza bisogno di ulteriori parole quanto è convinto di quello che vuole, scoppio nuovamente in pianto, gettandogli le braccia al collo per stringerlo, causandogli un lamento di dolore.
“Kise…”
“Mi dispiace.” bisbiglio, senza riuscire a contentere le lacrime, ma avvertendo ugualmente il suo braccio riprendersi dalla sorpresa e ricambiare la mia stretta.
“Di cosa?”
“Di non riuscire a dirti di non farlo.” ammetto, stringendolo un po’ più forte.
“Anche se lo facessi, comunque non ti accontenterei. Ho deciso e non torno indietro. Non voglio più farti stare così.” lo so.
Per quale altro motivo crede che io pianga?
Ma non credo che sarà così facile come lui crede.
E so che, alla fine, chi ci resterà peggio sarà lui.
Volendogli evitare almeno per il momento questa sofferenza, lascio che ci creda ancora, cambiando argomento e, prendendogli il volto tra le mani per accarezzarglielo, bisbiglio:
“Dovresti riposare.” io comunque resterò accanto a lui.
Porta le mani sulle mie, ribattendo:
“Anche tu. Hai un aspetto orribile, non sei qui da solo, vero?” scuoto debolmente la testa, rassicurandolo:
“Fuori ci sono Kasamatsu-san e Moriyama-san.” sospira come sollevato, chiudendo gli occhi ed io lo prendo come il segno di poterlo far stendere, cosa che mi lascia fare proseguendo stancamente:
“Allora torna a casa con loro. Preferisco che non stai qui.” io, però… Vorrei.
Ma, temendo che questo possa indurlo a non riposare come avrebbe bisogno, non ho alternative se non accontentare la sua richiesta, mormorando:
“D’accordo. Però… Promettimi che riposerai.” almeno per stanotte.
Dato che, di certo, domani mattina quelli là ripiomberanno qui impedendogli di riprendersi come dovrebbe.
E so che ne è consapevole anche lui.
“Lo farò, non preoccuparti.” e invece lo farò “… Mi dispiace di starti facendo passare anche questa.”
“Adesso pensa solo a riposare.” soffio, appellandomi al tono spossato e all’aria stanca che ha e, dopo avergli accarezzato il viso con il dorso di una mano, indugio un momento ancora, prima di avviarmi verso l’uscita.
Sulla soglia, è lui che mi ferma, chiamandomi:
“Kise.” immediatamente mi volto a guardarlo “… Ti amo.” accenno ad un sorriso, seppur temo velato di tristezza.
Lo so.
“Ti amo anch’io.” anche se non posso fare niente di concreto per aiutarlo, se non, forse, restare accanto a lui.
Poi, rendendomi conto che il suo sguardo è ancora fisso su di me e che è proprio la mia presenza qui ad impedirgli di riposare, mi costringo ad uscire, chiudendomi la porta alle spalle e attendendo di essermi spostato da essa per appoggiarmi al muro, lasciandomi scivolare lentamente a terra e nascondendo la testa tra le braccia.
È un ingenuo… Se crede che capiranno… Se crede che gli verranno incontro…
Per quanto lui possa lottare, io… Dubito fortemente che otterrà quello che entrambi speriamo.
Ed io… Non voglio che soffra ancora…

 

Continua…

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