My world to save (KnB) – Capitolo VII


Socchiudo appena un occhio, decisamente troppo sveglio per il buio che regna, per poi richiuderlo e voltarmi su un fianco.
Anche stanotte… Non riesco a dormire.
Capitava spesso anche prima e il motivo rimane quello: il mio pensiero rivolto a lui.
Come mi aspettavo, spesso rientra tardi. Nonostante tutto, rientra tardi. Ed io, per impormi di non affrontare la questione, quando accade e lo sento raggiungermi, fingo di dormire.
Mi fermo un momento, a pensare a come si sono evolute le cose. O meglio… A come sono peggiorate.
Una volta, quando capitava, cercavo di metterlo al corrente che fossi sveglio, nel caso avesse voluto parlare. E l’unico risultato che ottenevo molto spesso era quello che lui lasciasse subito la stanza a favore della doccia.
Ora… Proprio per evitare possibili discussioni, faccio finta di niente. E l’unico risultato che ho ottenuto è stato quello di diminuire maggiormente il nostro dialogo. Che ora sta scomparendo. Lentamente. E inesorabilmente.
E mi chiedo… Finirà anche tra di noi? Siamo davvero arrivati al punto di dover ammettere che tra di noi è finita? Perchè… È finita o abbiamo ancora una speranza? Un qualcosa di così sottile a cui riuscire ancora ad aggrapparci?
Non riesco a rispondermi, distratto da dei leggeri rumori in soggiorno, così leggeri che possono appartenere ad una persona sola. Ho la conferma che è lui qualche minuto più tardi, quando avverto la sua presenza in camera e, non molto dopo, nel letto. Dietro di me, mentre porta un braccio intorno alla mia vita abbracciandomi.
Ultimamente… Lo fa spesso…
Come fa spesso…
“Buonanotte.” soffia, a voce così bassa che, se non fossi sveglio, non lo sentirei mai.
Questo…
Ed io, in risposta, cosa faccio? Ultimamente… Scappo. Con il risultato di star distruggendo tutto.
Infatti, spinto solo dai sensi di colpa, questa volta mi decido a sussurrare a mia volta:
“Buonanotte.” dopotutto… Sono sveglio e far finta di niente non mi sembra il modo migliore per aiutare le cose tra di noi.
Non voglio respingere il suo unico modo di avere un dialogo.
Perchè, questa volta, se dovesse scomparire… Sarebbe davvero solo colpa mia.
“Sei sveglio?” domanda e, a giudicare dal suo tono, pare esserne sorpreso.
Rispondo con un mugugno, per poi spingermi a spiegargli:
“Faccio fatica a dormire.” si sistema sul materasso, prima di chiedermi:
“C’è qualcosa che ti preoccupa?”
“….” sì.
Tutto.
Lui, il suo lavoro, la sua salute…
Noi…
Avverto gli occhi pizzicare e, sapendo che rispondere sarebbe superfluo e ci portebbe in un vortice di parole che non avrebbe uscita, mi limito ad appoggiare una mano sul suo braccio, bisbigliando:
“Ti amo.” voglio solo che si ricordi di questo. Perchè questo è… Il motivo di tutti i miei pensieri e delle mie preoccupazioni.
Temo che se ne dimentichi. Specialmente dopo la discussione dell’altra volta.
Non deve dimenticarlo.
Se lo facesse, si dimenticherebbe anche che sono accanto a lui. Che lo sostengo. Anche se non riesco a dimostrarglielo.
Non reagisce per qualche secondo, dopo i quali mi stringe leggermente di più, rispondendo un semplice:
“Ti amo anch’io.” che mi fa solo percepire gli occhi maggiormente lucidi.
Lo so.
Non ne ho mai dubitato.
Ma è così incredibilmente bello sentirglielo dire dopo tanto tempo.
Lo avverto appoggiarsi alla mia schiena ed entrambi rimaniamo in silenzio per qualche minuto, dopo i quali è ancora lui a riprendere:
“Non volevo disturbarti. Torna a dormire.”
“Ok…” replico in un soffio, facendogli rispondere:
“Ok…” allora…
“Buonanotte.”
“Buonanotte.” non allento la presa sul suo braccio, al contrario, lo stringo maggiormente, cercando la sua mano.
Perchè non voglio… Che se ne vada…

 

Apro leggermente gli occhi, dovendoci mettere qualche attimo ad abituarmi alla luce e a mettere a fuoco le pareti della stanza.
Ci riesco dopo uno sbadiglio, dopo il quale mi rendo conto di essere nel letto da solo.
Già…
Mi volto sulla schiena, girandomi con la testa nella direzione opposta in cui ho dormito, per avere conferma non necessaria che il posto accanto a me è vuoto.
E così è ma la cosa che colpisce immediatamente il mio sguardo svegliandomi del tutto è l’assenza del cuscino.
Del cuscino…
Mi metto seduto quasi di colpo, vagando con gli occhi per la stanza alla ricerca della coperta che, fino a ieri sera, era ai piedi del letto.
E che ora non c’è.
Ed io… Temo di sapere… Dove possa essere.
Mi alzo e, pregando vivamente di sbagliarmi ben sapendo quanto sia difficile, raggiungo il salotto, portando a colpo sicuro lo sguardo sul divano, dove lo vedo dormire.
Dormire… Sul divano.
Perchè? Ieri sera… Ieri sera sembrava tutto normale.
Mi sono sbagliato? È successo qualcosa di cui non mi sono accorto che lo ha portato a venire qui?
Vorrei svegliarlo e chiederglielo ma, letteralmente terrorizzato da quella che potrebbe essere la risposta, non lo faccio. Al contrario, torno in camera e, accorgendomi che mancano pochi minuti al suono della mia sveglia, la disattivo prima che scatti. Poi vado a farmi una doccia, cercando di non fare particolarmente rumore e, dopo essermi rivestito, raggiungo la cucina per fare colazione, facendo attenzione a non svegliarlo.
A quello ci pensa il suo cellulare non molto più tardi, quando risuona della sua inconfonibile suoneria, che dura pochi attimi solamente.
Attendo qualche istante che si risvegli del tutto per mormorare:
“Buongiorno.” con un filo di voce che non so come fa ad uscire.
Ci mette un attimo a capire la situazione e a rispondere:
“Buongiorno.” si alza, riservandomi un’occhiata rapida prima di chiedermi:
“Hai già fatto la doccia?” annuisco “… Allora… Vado io.” di nuovo, replico con un cenno, dopo il quale non mi rimane che guardarlo lasciare la stanza, per poi portare gli occhi sul divano, lasciando che quella domanda rimbombi un’altra volta nella mia testa.
Perchè? Che… Bisogno aveva?
Non ho il coraggio di chiederglielo quando torna per afferrare al volo la colazione e avviarsi verso la porta, davanti a cui, non riuscendo a trattenermi, lo blocco:
“Va tutto bene?” mi guarda in silenzio qualche secondo, troppi a dire il vero, poi replica:
“Sì. Devo andare. Ci vediamo stasera.” sì… Come no…
Distolgo lo sguardo dal suo, per evitare che capisca quanto poco possa crederci, sforzandomi di mormorare:
“Buon lavoro.”
“Grazie.” risponde, prima di uscire definitivamente, dandomi la possibilità di lasciarmi andare ad un sospiro, sentendomi improvvisamente mancare la voglia di mangiare.
Tutto bene… Ci vediamo stasera.
Temo quasi che sia più probabile la seconda, della prima.
Rimetto al loro posto praticamente tutte le cose prese per la colazione, nelle medesime condizioni in cui le ho tolte dalla dispensa, per poi tornare a guardare il divano.
E pensare.
Era come… Se ci fosse qualcosa che non volesse dirmi.
E quello che prego è che… Non sia nulla di ciò che temo.
Sul divano…
Spero solo che non lo faccia diventare un’abitudine…

 

Invece accade esattamente il contrario, dato che nelle due settimane successive il suo letto si trasforma inspiegabilmente in quello e anche il nostro dialogo crolla inesorabilmente.
Praticamente è come se non ci vedessimo più. Non capisco se come o peggio di prima e, in questa condizione, come potremmo mai parlare? Quando?
Io… Non so cosa fare.
Guardo il ripiano della cucina, dove il biglietto che gli avevo lasciato stamattina quando sono uscito (incredibilmente) mentre lui dormiva è ancora nella stessa posizione in cui l’ho appoggiato. Con quell’unica parola a troneggiarvi sopra: Ti amo.
Lo prendo in mano, avvertendo la vaga sensazione che non gli abbia dato il minimo peso. E se lo ha fatto, temo che non gli abbia dato lo stesso senso che gli ho dato io quando l’ho scritto.
Adesso non serve più a ricordargli che sono accanto a lui.
Adesso… È diventato quasi una supplica. Con la quale gli chiedo di… Non lasciarmi.
Perchè… Temo che sia questo, ciò a cui sta pensando ultimamente e che lo tiene ancor più lontano da me.
Lasciarmi.
Perchè… In fondo… Il rapporto tra di noi è andato disgregandosi, prima lentamente, senza che noi ce ne accorgessimo.
E quando ce ne siamo resi conto… Nessuno dei due ha fatto abbastanza per risaldarlo prima che fosse troppo tardi.
Fisso per qualche momento ancora il foglietto, per poi accartocciarlo e, come ieri, scriverne uno nuovo, con la stessa identica scritta del suo predecessore.
Probabilmente non se ne accorgerà ma… Non voglio che diventi un fogliettino rimasto sul tavolo dalla sera prima.

 

Il mattino dopo, al mio risveglio, sono decisamente più stanco di quando sono andato a dormire e, nonostante abbia solo voglia di rimanere nel letto per continuare a provare a dormire, so di non poter fare diversamente.
Soprattutto perchè… Tornare in un letto per metà vuoto non mi aiuterà di certo.
Sconsolato, raggiungo la cucina ma, come vi entro, il mio sguardo viene immediatamente catturato dal divano che, sorprendentemente, è ancora occupato.
Ci metto qualche attimo a reagire e, anche una volta con la colazione pronta, non posso fare a meno di sedermi su una sedia, voltandola verso il sofà per continuare a guardare chi lo occupa.
Forse dovrei… Legarlo. E affrontare una volta per tutte la questione. E dirgli chiaramente che odio quando non dorme nel letto.
Mi fa sentire come se non volesse condividere più nulla con me, nemmeno il posto dove dormire.
Smetto di pensarci quando si sveglia all’improvviso, con uno scatto che per poco non fa sobbalzare anche me, dopo il quale guarda il cellulare, lasciandosi sfuggire un’imprecazione di disapprovazione. Capisco dove sta il problema dal modo in cui si rialza e, senza accorgersi di me, si affretta in bagno, da cui ne riesce poco più tardi lavato e vestito.
“Fai colazione?” mormoro, mettendolo finalmente al corrente della mia presenza, di cui veramente si accorge solo ora, a giudicare da come mi guarda.
“Credevo fossi già andato.”
“Oggi inizio dopo.” gli spiego, sentendomi come accade spesso un po’ stupido.
“Ah.” restiamo in silenzio un istante solo, dopo il quale ribadisco la mia domanda:
“Fai colazione?”
“No. Mangio qualcosa al volo mentre vado.” già…
Che gliel’ho chiesto a fare…
Infatti, non mi sorprendo minimanente di come versi il caffè in una tazza, per poi avviarsi verso la porta, seguito da me.
Tuttavia, sono ancora io a dovergli spiegare che sto andando al lavoro e, soprattutto, se gli va di accompagnarmi.
Non obietta, sebbene percepisca come abbia detto di sì solo per distrazione e, una volta per strada, mi pento immediatamente della mia decisione a causa del pesante silenzio che scende su di noi.
Ci metto un po’ a trovare il coraggio di chiedergli:
“Va tutto bene?” a cui risponde con un mezzo mugugno che dovrebbe stare per un sì e che mi fa insistere:
“Come mai… Ultimamente dormi sul divano?” non mi piace quando lo fa.
Resta in silenzio per qualche secondo, di nuovo troppi per essere quelli sufficienti a formulare la risposta senza doverci pensare bene, poi replica:
“Non riesco a dormire.” non riesce..?
“Per… Colpa mia?” di nuovo resta in silenzio diverso tempo prima di mormorare:
“No.” a cui non sono sicuro di poter credere.
Temo che se ne accorga, dato che aggiunge:
“Ho il sonno agitato e non voglio disturbarti. E ci sono anche alcune cose a cui voglio pensare.” escludendo me, immagino.
Non va oltre ed io, volendomi preparare per tempo in caso decida di lasciarmi, insisto ancora, con un filo di voce:
“Cose di lavoro?” anche questa volta, non risponde subito, ma la risposta è ugualmente chiara: no.
Tuttavia, a parole si limita a dirmi:
“Sono cose a cui devo pensare da solo.” da solo…
Avverto un nodo alla gola e capisco immediatamente cosa sta per succedere.
E, per evitare di mettermi a piangere, mi chiudo nel silenzio, che non viene certamente violato da lui.
Lo rompiamo solo a destinazione, quando mi fa scendere ed io mi sforzo di sussurrare:
“Grazie del passaggio.”
“Figurati.” vorrei aggiungere anche un buon lavoro, ma le parole mi muoiono in gola e lui, senza notare il mio tentativo, si allontana in direzione del parcheggio, lasciandomi sul marciapiede.
Rimando nuovamente indietro le lacrime, imponendomi di restare lucido.
E di ricordare. Fino a quando non mi dirà niente di ciò a cui sta pensando, non devo lasciarmi influenzare da come stanno andando le cose.
L’unica cosa che posso fare è… Cercare di sistemare i buchi prima che sia troppo tardi.
Se decide di lasciarmi, prima voglio aver provato tutto quello che è nelle mie possibilità.
Già… Se solo sapessi cosa.

 

** Aomine **
“È tutto chiaro?” domanda Imayoshi al termine dell’elenco degli ordini “… Avete domande?”
“No.” sospiro “… Ci hai detto tutto quello che dobbiamo sapere per ogni evenienza dovesse capitare.”
“Guarda che questo non è un gioco.” mi riprende Tanaka, che ignoro, per poter continuare in direzione del quattrocchi:
“Sappiamo come comportarci qualunque cosa accada. Inoltre, ti ricordo che saremo costantemente in contatto, quindi per ogni imprevisto potrai sempre dirci cosa fare al momento opportuno.”
“Ma se le cose dovessero andare male…”
“Le cose non andranno male.” lo interrompo, deciso, trovando sostegno nella speranza dei miei colleghi.
Non andranno male.
Non *possono* andare male. Perchè da questo dipende… Una decisione molto importante e che devo prendere.
“D’accordo.” sospira il mio interlocutore, arrendendosi “… Ma fate attenzione.” annuiamo ma, ciononostante, si dilunga ugualmente in un riassunto del discorso fatto prima, di cui ascolto solo qualche tratto, avendo la mente occupata da altro.
Da quell’altro che ultimamente mi tiene sveglio la notte insieme al lavoro.
È da giorni che ci penso ma non riesco a decidermi, sebbene questa sia l’unica soluzione che mi è venuta in mente.
Ma mi sembra di scappare. Ed io non voglio scappare.
Per lui…
Torno parzialmente alla realtà quando Imayoshi termina le sue raccomandazioni, dopo le quali finalmente possiamo dividerci in due squadre e, mentre raggiungiamo la macchina, mi impongo nuovamente di accantonare i miei pensieri, almeno per il momento.
Una cosa per volta. Prima vediamo come va oggi e poi…
Poi ne riparliamo.

 

** Kise **
Sento la porta del bar aprirsi e, voltandomi verso di essa, non ci metto molto a riconoscere Kasamatsu-san che, in abiti borghesi, raggiunge il bancone, fermandosi di fronte a me.
“Per oggi hai finito?” domando, sebbene la risposta sia abbastanza ovvia e, infatti, non mi sorprendo di ricevere una risposta affermativa “… Prendi qualcosa?”
“No, sono solo passato a salutare.”
“Capisco… Come è andata?”
“Al solito.” ribatte, con un sospiro rassegnato “… Quando non c’è da fare sul serio, mi sembra di lavorare in un circo.” non freno un sorriso, ormai abituato a questo suo modo di dire.
“Ma quando c’è da impegnarsi, è tutto il contrario, no?” gli ricordo, beccandomi una fulminata ed un:
“Vorrei ben vedere!” dopo di che sbuffa e, cambiando argomento e rilassandosi, mi chiede:
“Tu come stai?” scrollo le spalle, senza trovare una vera e propria risposta diversa da “il solito.”.
Non riesce a chiedermi altro, interrotto dall’arrivo del capo che, salutandolo, si informa:
“Da solo, oggi? Moriyama non c’è?”
“No, oggi abbiamo orari diversi.”
“Peccato! È strano vedervi da soli, di solito siete sempre insieme.”
“È vero.” ammette “… Ma qualche volta capita.”
“Cosa prendi?”
“Niente.” ripete “… Passavo solo a salutare.”
“Avanti!” insiste il capo “… Offre la casa!” non sente la risposta, distratto dal telefono che comincia a suonare e, dopo uno sguardo di entrambi in direzione dell’apparecchio, mi fa un cenno della mano, informandomi:
“Rispondo io, tu pensa a servire lui.” non mi oppongo e, tornando a guardare Kasamatsu-san, mi informo:
“Allora? Questa volta non puoi rifiutare.”
“Già…” sospira rassegnato ma, prima di potergli proporre un cappuccino speciale, vengo interrotto dal capo, che mi dice:
“Kise, è per te.” per me?
Ammetto di rimanerne piuttosto incuriosito, essendo praticamente la prima volta che accade e, un po’ perplesso, vado a rispondere.
“Kise, sono Imayoshi.” mi irrigidisco per un momento e ci metto qualche attimo per chiedere, sforzandomi di bloccare la mia mente e le sue ipotesi sul motivo di questa chiamata:
“Cosa c’è?”
“È… Successa una cosa.” era quello che temevo.
Trattengo il respiro un istante ma non devo insistere affinchè mi spieghi:
“C’è stato uno scontro a fuoco e… Aomine è ferito.” sento le gambe cedere ma, per fortuna, è solo un’impressione, dato che hanno ancora le forze per sorreggermi.
Tuttavia, non ho la prontezza di formulare una risposta e, sebbene questo mio silenzio attiri su di me l’attenzione del capo e di Kasamatsu-san, dà a Imayoshi-san la possibilità di proseguire:
“Non posso dirti come sta, appena so qualcosa ti faccio sapere.”
“Dove..?” dov’è? Dove lo stanno portando?
È… Grave?
“Stiamo andando in ospedale. Pensavo fosse giusto che lo sapessi.” ignoro la sua ultima frase, completamente concentrato sull’informazione che mi interessa.
“Ho capito.” mormoro, cercando di sembrare calmo “… Sto arrivando.” non gli lascio il tempo di aggiungere altro, chiudendo la conversazione.
“Cos’è successo?” mi chiede immediatamente Kasamatsu-san, venendomi vicino.
Guardo il mio capo, mormorando:
“Io… Devo andare.” poi il mio interlocutore, rispondendogli come spiegazione ad entrambi:
“Lui… È ferito.”
“Cosa?!” mi volto verso il mio datore di lavoro, ribadendo:
“Per favore… Io… Devo andare.”
“Ma certo.” acconsente, evidentemente agitato “… Non preoccuparti, qui ci penso io.”
“Andiamo.” mi fa cenno Kasamatsu-san, facendomi cenno verso la porta “… Ti accompagno.” lo seguo, ringraziando mentalmente che ci sia, dato che in caso contrario credo non sarei riuscito nemmeno a capire da che parte andare.
Attende di essere in macchina in direzione dell’ospedale per informarsi:
“Come è successo? È grave? Gli hanno sparato? Dove?”
“Non lo so.” mormoro, stringendomi le mani per mantenere la calma “… Non lo so…” rimane in silenzio un momento, infine mi chiede:
“Era Imayoshi?” annuisco appena.
“Già… Lo immaginavo… Ad ogni modo, non devi preoccuparti. Sono sicuro che andrà tutto bene. Fidati.” annuisco debolmente, sebbene avverta ugualmente gli occhi bagnarsi di lacrime, che mi sforzo di trattenere.
Rimaniamo in silenzio qualche secondo, prima che confessi:
“Ho paura.” le cose stanno andando a rotoli e questa è solo l’ennesima conferma.
Non ho… La forza di pensare che non è niente di grave.
Penso solo che… Possa essere peggio di quello che potrei sopportare.
E che questo sia… L’evento definitivo che lo porterà via da me.
“Ci credo, potevano dirti anche qualcosa di più!” sbotta, per poi scuotere la testa e, senza perdere del tutto quel tono irritato, aggiunge:
“Ascoltami… È vero che le cose tra di voi non vanno bene e questo ti fa vedere tutto negativo. Ma questo non cambia le cose. Adesso stai tranquillo. Siamo quasi arrivati ed una volta in ospedale tirerai le tue conclusioni. Ok?” annuisco appena e lui, non sentendomi rispondere, insiste:
“Ok?”
“Ok.” sussurro, sebbene non ne sia davvero molto convinto.
Infatti, passo tutto il tragitto con le mani strette, lottando contro la mia fantasia che vede solo scenari uno peggiore dell’altro e pregando che niente di ciò a cui penso sia la realtà.
Perchè… Non voglio perderlo.
Soprattutto non così.
A destinazione, gli lascio solo il tempo di parcheggiare, prima di fiondarmi giù dalla macchina e dentro al pronto soccorso, cercando immediatamente qualcuno che possa rispondere ai miei timori.
Purtroppo, trovo solo i suoi colleghi, che mi affretto a raggiungere, lasciandoli sorpresi a guardarmi.
“Non era necessario che venissi.” mormora Imayoshi, a cui evito di rispondere solo perchè mi preme di più sapere un’altra cosa:
“Come sta?” si scambiano uno sguardo, poi è ancora quello con gli occhiali a scuotere la testa e rispondermi:
“Non lo sappiamo. Lo hanno portato in sala operatoria ma non ci hanno ancora fatto sapere niente.” in sala operatoria…
“È grave?” chiedo, finalmente, ottenendo in risposta solo il silenzio. Silenzio che non so interpretare.
“Kise.” mi riporta alla realtà Kasamatsu-san “… Vieni. Siediti un attimo.” faccio come vuole, dandogli la possibilità di inginocchiarsi davanti a me e, fissando lo sguardo nel mio, riprende:
“Fino a quando uno dei medici non uscirà, non potremo sapere niente. Farsi prendere dal panico adesso è inutile. Capisco che tu sia preoccupato, sarebbe anormale che non lo fossi. Ma cerca di stare tranquillo. Sono sicuro che avremo presto sue notizie.” lui crede? Io non ne sono tanto sicuro.
Tuttavia, rimango in silenzio, seduto al mio posto a continuare a spostare lo sguardo su qualcunque membro del personale medico, nella speranza che uno di loro mi dia qualche segno di speranza, che non ottengo.
Devo attendere alcune ore, durante le quali arriva anche Moriyama-san, informato dal mio capo di quanto accaduto, prima che, dalla porta delle emergenze, compaia un uomo, evidentemente medico che, con l’aria stanca si avvicina a noi, domandando:
“Siete amici di Aomine-san?” immediatamente scatto in piedi, avvicinandomi a lui che viene rapidamente circondato dai membri dell’antimafia i quali, anticipandomi, pongono la mia stessa domanda:
“Come sta?” quello scuote la testa, facendomi sentire ancora peggio, poi ci spiega:
“Ha perso molto sangue ed era molto debole. Noi abbiamo fatto quello che abbiamo potuto. È in rianimazione, ora dipende tutto da lui.” mi sento incredibilmente debole, ma non cedo, cercando di fissare la risposta alla domanda successiva:
“È in coma, i prossimi giorni saranno decisivi.” in coma…
Quindi è… Ancora vivo… Non mi ha ancora lasciato…
“Posso vederlo?” mormoro, attirando su di me l’attenzione dell’uomo che, dopo avermi guardato per qualche secondo, chiede, con tono di chi conosce già la risposta:
“È un parente?”
“Sono… Il suo compagno.”
“Sono spiacente ma le visite sono permesse solo ai familiari.” risponde, con un sospiro che lascia intendere quanto la cosa fosse scontata.
Ed io lo so ma…
“Dottore…” interviene Imayoshi-san “… Non potrebbe fare un’eccezione?” e, in suo aiuto, interviene anche il suo collega più giovane:
“Se le prossime ore sono quelle decisive, sono sicuro che ad Aomine-san farebbe bene averlo accanto.” lui… Crede?
A me non importa, che lo voglia oppure no. Sono piuttosto sicuro della seconda ipotesi ma… Sono io che ho bisogno di stargli accanto, adesso.
Il medico tituba ancora un attimo ma, davanti alla seconda insistenza del loro capo, non può fare a meno di cedere e, con un lungo sospiro, mi fa cenno di seguirlo, mormorando:
“Da questa parte.” gli vado dietro, accompagnato praticamente da tutti e, una volta fuori dalla stanza dove l’hanno messo, perdo improvvisamente tutte le forze di proseguire, bloccandomi davanti alle sue condizioni: la medicazione della ferita, le flebo, altri tubi che non voglio sapere a cosa servono…
Distolgo immediatamente lo sguardo, facendo forza su me stesso per non mettermi a piangere per poi ricordarmi ciò che mi sono sempre ripromesso: stargli accanto e sostenerlo, in qualsiasi circostanza.
Infatti, ringrazio il medico che, dopo avermi mostrato il pulsante delle emergenze, se ne va lasciandoci da soli, dandomi la possibilità di prendere posizione accanto al lettino, ben intenzionato a non muovermi fino a quando non si sarà svegliato.
Infine, congedo anche i miei accompagnatori, premurandomi di ringraziare nuovamente Kasamatsu-san per avermi accompagnato.
“Non esagerare, se hai bisogno chiamaci.” annuisco appena, voltandomi verso il mio compagno, per far capire a tutti i presenti che voglio essere lasciato da solo.
Rimane solo Tanaka che, una volta certo che tutti i suoi colleghi se ne sono andati, mi si avvicina e, porgendomi un cartoncino, mormora:
“Ti lascio il mio biglietto da visita. Chiamami, per qualunque cosa.” questa volta lo prendo, mettendolo da parte “… Verremo a darti il cambio, quindi…” si interrompe ed io, avendo inuito che non se ne andrà fino a quando non avrà una risposta, mormoro:
“Ok.”
“Ok…” ripete, titubando un momento per poi aggiungere:
“Allora… Torno in centrale con gli altri. Mi raccomando.” annuisco appena e, nell’arco di pochi minuti, smetto di sentire i suoi passi in corridoio, segno evidente che, finalmente, sono rimasto da solo. E, finalmente, posso smettere di trattenere le lacrime, che affiorano ai miei occhi, velandoli e offuscandomi la vista, che torna parzialmente nitida quando le prime due mi cadono sul volto. Ho bisogno di alcuni minuti prima di riuscire a reagire e, senza impormi freni, porto una mano sulla sua, accarezzandola piano prima di prenderla e stringerla tra le mie, bisbigliando:
“Non lasciarmi.” ti prego “… Non lasciarmi.” se le cose devono finire tra di noi ed io non posso fare niente per impedirlo, d’accordo.
Ma non così.
Non voglio… Che finisca così…
Non può…
Smetto definitivamente di trattenermi, scoppiando in un pianto che, non silenzioso come avrei voluto, ha un che di liberatorio, nonostante sappia essere perfettamente inutile.
Non sarà questo a svegliarlo.
Così come la mia presenza, qui, non gli sarà di alcun aiuto.
Eppure… Non intendo lasciare il suo fianco.
Nemmeno se dovessero portarmi via con la forza.

 

Continua…

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