** Aomine **
Guardo l’ora, per almeno la duecentesima volta nell’arco delle ultime due ore, ripetendomi, per almeno la duecentesima volta, quanto si stia facendo tardi.
Ed io vorrei solo… Tornare a casa.
Mi distraggo un momento solo a ripensare a quanto accaduto oggi, al fatto di averlo visto e, soprattutto, al fatto che sappia che adesso è tornato a casa.
Già. A casa.
Solo perchè è venuto a chiedermi scusa. Lui. A me. Scusa.
Scusa di cosa? Non aveva nulla di cui scusarsi ed io sono stato tanto abile da non riuscire nemmeno a dirglielo. Non ci sarebbe voluto molto.
Ma non mi aspettavo minimamente questa sua mossa: nè che venisse a parlarmi nè che si prendesse la colpa dell’accaduto.
Avei dovuto essere io, a chiamarlo. Ad andare da lui. A chiedergli scusa.
E invece, anche questa volta, non sono stato in grado di fare niente, costringendo lui a caricarsi di tutto il peso di quanto accaduto.
Perchè diamine gliel’ho permesso? Io non voglio permetterglielo. Non questa volta.
Infatti, mi decido:
“Io vado.” non riesco a lavorare con questo pensiero fisso, a cui fa felicemente compagnia quello della sua espressione. E di quella maledettissima lacrima che ha versato.
Dovrei essere io a fermare le sue lacrime. Io e nessun altro. Non lascerò che qualcuno prenda il mio posto.
Non ascolto l’eventuale replica dei presenti, limitandomi a prendere le mie cose e a lasciare la stanza, con un semplice:
“A domani.” dopo il quale me ne vado definitivamente, raggiungendo senza esitazioni la macchina e, successivamente, casa.
Lì, mi prendo solo il tempo per parcheggiare e per lanciare una veloce occhiata all’edificio, senza far caso alle luci, che mi accogo essere spente solo una volta oltrepassato l’uscio.
Già. Vista l’ora è forse la cosa più probabile.
Ma questa volta la sento. Quella sensazione di qualcosa di prezioso che è tornato da me.
Infatti, uno sguardo distratto al ripiano della cucina mi basta per notare la bottiglia dell’acqua in una posizione diversa da quando sono partito e uno al bagno per fare altrettanto con uno spazzolino e un dentifricio in più rispetto a stamane. Poi raggiungo la camera da letto e, quando scorgo la sua figura sotto le coperte, ci metto meno di un minuto a decidere di non fare una doccia.
Non stasera. Piuttosto la farò domattina, ma non stasera.
Non mi cambio nemmeno, concedendomi solo di togliere quello che potrebbe essere d’impiccio a dormire, per poi infilarmi sotto le coperte, accanto a lui.
E, improvvisamente, mi sento decisamente meglio rispetto ai giorni scorsi.
Meglio ma anche… Improvvisamente più stanco.
Gli lancio un’occhiata di mezzo secondo prima di prendere la mia decisione e, soprattutto, la mia posizione. Mi sistemo dietro di lui, passandogli un braccio nello spazio rimasto tra il suo collo e il cuscino, mentre porto l’altro intorno alla sua vita, portandomi così vicino a lui da avvertire immediatamente il suo profumo.
Che respiro a pieni polmoni, sfiorandogli appena i capelli con un leggero bacio che ha tutto l’intento di non svegliarlo.
Infatti non reagisce, continuando a dormire e, per una volta, la cosa non mi fa molto felice.
Se questa volta si fosse svegliato come faceva spesso, io avrei potuto dirgli che…
Eppure non posso trattenermi dal farlo ugualmente:
“Sono felice che tu sia tornato.” anche se avrei dovuto essere io a chiedere scusa “… Ora… Non lasciarmi più.” gli schiocco un bacio veloce sul collo e poi chiudo gli occhi, intenzionato a dormire.
E domani… Quando ci sveglieremo… Parleremo. Perchè questa cosa non può… Finire così.
Altrimenti… Niente si risolverà.

 
Vengo strappato dal mio dormire da una musica che riconosco essere la mia suoneria dopo alcuni secondi e, come ciò avviene, mi rendo subito conto che potrei disturbare Kise.
Infatti, questo è l’unico motivo per cui mi volto sulla schiena, portando una mano a cercare l’arnese che, quando trovo, zittisco, per poi lasciarmi andare ad un mugugno di protesta, a cui se ne aggiunge uno non mio.
Mi volto immediatamente verso il mio compagno che, parzialmente sveglio, si volta leggermente verso di me, socchiudendo appena gli occhi e richiudendoli non appena capisce quanto accaduto, tornando di nuovo su un fianco.
“Scusa.” mormoro, senza mutare posizione e ottenendo in risposta un altro mugugno non definito.
Mi prendo un attimo per riflettere sull’indugiare o meno ma, conscio che se lo facessi non mi alzerei più, mi limito a sollevarmi leggermente dietro di lui per poterlo guardare e, spostandogli i capelli che gli ricadono sul volto, mormoro:
“Devo andare.” mugugna ancora “… Ci vediamo stasera.” perchè stasera ho deciso di finire presto.
Questa volta non risponde proprio ed io mi arrendo a lasciarlo tornare a dormire, sebbene gli schiocchi ugualmente un bacio veloce sulla guancia.
Infine, memore del mio obiettivo di oggi, mi alzo, mi faccio una doccia e, dopo essermi rivestito, mi avvio al lavoro, decisamente più in forma dei giorni passati.
Già… Ora che è tornato, mi sento di nuovo come se potessi sorreggere il mondo con una mano sola.
Ma non dimenticherò che abbiamo ancora una questione in sospeso. Che non voglio che resti tale a lungo.

 
“Allora…” mormoro, in direzione di Kise, al momento davanti ai fornelli “… Io… Vado. A stasera.” come previsto, mi guarda una manciata di attimi, prima di annuire appena, abbassare il capo e rispondere in un sussurro:
“Buon lavoro.”
“Grazie.” replico a mia volta, più per educazione che per altro.
Per educazione e perchè… Così facendo i nostri dialoghi si allungano di una battuta, dato che ultimamente, si fanno sempre più brevi. Io che gli dico che sto uscendo per andare al lavoro e lui che mi risponde sempre nello stesso modo: annuisce, abbassa il capo e si sforza di dirmi “buona giornata” o, quando va bene, “buon lavoro”.
Senza aspettarsi una risposta.
Che, anche se ci fosse, sarebbe comunque l’ultima del nostro scambio di battute, dato che qualunque cosa io abbia provato a dirgli non ha sortito alcuna ulteriore replica, se non un “ok”, “va bene”, un cenno del capo o un mugugno.
Attendo di chiudermi la porta alle spalle per sospirare, passandomi una mano tra i capelli.
È passata più da una settimana, da quando è tornato e da allora le cose sembra che stiano andando ancora peggio. Il nostro dialogo sta andando scomparendo e, ora che sono io a cercarlo, sembra che sia lui a scapparne. Non siamo ancora nemmeno riusciti ad affrontare quella questione. Quando ci ho provato, ho capito immediatamente dalla sua espressione quanto la cosa lo avesse ferito e quanta poca voglia avesse di tornare con la mente a quello che è successo. Quindi ho deciso di rimandare, a quando sarebbe stato meglio. Ma non c’è stata una volta in cui ci sia riuscito.
Continua a chiudersi in se stesso, sulla difensiva. Come se avesse paura di qualcosa. E temo di sapere cosa.
Non dirò più niente.
Credevo fosse tanto per dire, legato al mio lavoro e quando l’ha detto non gli ho dato molto peso. Non pensavo certo che… Dicesse sul serio.
Già… Perchè ormai è come se non mi parlasse più.
Una volta, quando rientravo tardi, di tanto in tanto si svegliava. Ora non lo fa più o, se lo fa, credo che finga di dormire. Adesso mi rendo conto di quanto fossero importanti quelle poche parole appena bisbigliate e da cui io scappavo sempre.
Per non disturbarlo, mi dicevo.
Ora capisco cosa provava.
Ora che non ci sono più nemmeno quelle…
Ora che non riesce più a parlarmi…
Siamo davvero appesi ad un filo.
Che temo sia l’ultimo che ci rimane.

 
** Kise **
“Kasamatsu mi ha detto che sei tornato a casa.” esordisce Moriyama-san “… Congratulazioni.”
“Grazie.” replico, accennanno ad un gesto del capo.
“Ma non so ancora come sono andate le cose.” aggiunge poi, sostenuto dal suo vicino che, questa volta, non può rispondere per me.
Tuttavia, non sono molto incline a parlare e, infatti, l’unica cosa che mi limito a dire è un semplice:
“Gliel’ho solo chiesto.”
“Chiesto?” annuisco “… Tu?” e chi altri? Non ce la facevo più ad aspettare che lui fosse pronto, quindi ho per forza di cose accelerato i tempi “… Almeno ti ha chiesto scusa?” non rispondo, sapendo che su questo non saremo mai d’accordo.
Per me, non aveva nulla per cui chiedere scusa. In fondo… Quello che ha detto era tutto giusto.
Sospira ma non demorde, insistendo:
“Almeno avete parlato dell’accaduto?” parlato…
Titubo qualche secondo, già sapendo che non saprei rispondere alla domanda che ne susseguirà e questo dà l’occasione a Kasamatsu-san di interrompere il suo vicino:
“Non gli va di parlarne.”
“Ho notato.” lo rimbecca il diretto interessato “… Guarda quanto è loquace.”
“Allora lascialo in pace.” conclude il suo interlocutore, per poi guardarmi e ammettere:
“Comunque, non è mai un buon segno quando non parli. La cosa non si è risolta, vero?” sospiro, costringendomi a replicare:
“È tutto a posto.” è vero, non si può proprio dire che ci siamo seduti a tavola a parlarne per ore ma…
Quando è tornato la sera successiva mi ha detto ‘Susa rientra ufficialmente domani, quindi… Potremo ridistribuire il lavoro, per cui… Avrò un po’ più di tempo.’.
Cosa potevo rispondergli? Non ho avuto il coraggio di fargli notare che è da un po’ che è come se Susa-san fosse di nuovo operativo. Anzi… A dire il vero è come se non fosse mai mancato. Ma lui… Credeva veramente che le cose sarebbero migliorate. Che questo gli avrebbe veramente dato più tempo da passare insieme.
Ed io… Non ho avuto il coraggio di disilluderlo.
Ho avuto paura che… Questo ci avrebbe allontanato ancora di più.
Che… Sarebbe successo di nuovo quello che è accaduto l’unica volta che abbiamo provato a parlare.
E ho avuto paura che, se fosse successo… Sarebbe stato ancora peggio. E io lo avrei perso.
Tutto quello che sono riuscito a dirgli è stato un ‘ok‘ con il quale la questione si è chiusa.
“Sì.” replica Moriyama-san, distraendomi dai miei pensieri “… Come no.” non rispondo, nemmeno questa volta.
Io sto facendo il massimo che posso, per tenerci insieme. Come sta facendo lui.
Ho pensato alle sue parole e ha ragione. Quand’è stata l’ultima volta che l’ho incoraggiato nel suo lavoro? Questa mia mancanza sicuramente non l’ha aiutato, nell’ultimo periodo.
È per questo che mi sto impegnando, quando mi dice che esce per andare al lavoro, di non fermarlo. E di augurargli buon lavoro, invece di chiedergli di non andare, come invece vorrei fare. Vorrei fargli capire che, nonostante tutto, io ancora ho piena fiducia in lui. E questo è… L’unico modo che ho per farlo.
Percepisco perfettamente il loro scetticismo e, per evitare che l’argomento si protragga ancora a lungo, mi defilo, sfruttando alcuni tavoli che si riempiono velocemente nel giro di pochi minuti.
Va tutto bene.
Come mi ha detto l’altro giorno, siamo quasi arrivati ad una svolta, se tutto va bene potremmo chiudere il caso a breve.
A breve… Sebbene non voglia farmi molte illusioni su questa parola, voglio crederci. Anche solo per lui.
Qualunque sia la sua durata effettiva, continuerò a sostenerlo.
Non c’è altro che voglio fare.

 
Continua…

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