My world to save (KnB) – Capitolo IV


“Non ci hai parlato.” commenta Kasamatsu-san, con un tono che non mi lascia dubbi sul fatto che la sua sia un’affermazione.
“No.” ammetto, sconsolato.
“Perchè?”
“Non ci sono riuscito.” mi guarda, come per cercare di capire il motivo della mia affermazione, cosa che gli spiego io:
“Sono due giorni che non ci vediamo.”
“Come sarebbe?”
“Sono due giorni che non riusciamo ad incrociarci.” ripeto, sentendomi se possibile ancora più abbattuto e nascondendogli il mio dubbio che non stia nemmeno rientrando.
Eppure, pare leggermi nel pensiero, dato che mi chiede:
“Almeno è tornato a casa, qualche volta?” non riesco a negare e, di conseguenza, a rispondere.
“Come è possibile?” si informa invece Moriyama-san “… A te sta bene?” a me?
“No di certo.” per quanto abbia preso effettivamente un antinfluenzale, non credo che sia bastato per farlo guarire…
“Bene!” esclama “… Vorrei ben vedere! Al tuo posto io sarei già andato a riprenderlo.” avrei voluto. Ma…
“Non posso fare irruzione nel loro ufficio.”
“Già.” borbotta, incrociando le braccia “… Per quanto sarebbe la soluzione migliore, su questo devo darti ragione.” credo che volesse aggiungere ancora qualcosa ma, ad impedirglielo, è una leggera gomitata da parte del suo vicino, che, successivamente, gli fa cenno verso la porta, verso cui mi volto anch’io, giusto in tempo per vedere due colleghi del soggetto del nostro discorso entrare nel locale e avvicinarsi al bancone, accanto a dove siamo.
“Guarda un po’ chi si vede.” commenta Moriyama-san, sarcastico “… Allora qualche volta sapete anche uscire dal vostro ufficio. Che fine ha fatto il vostro caso delicato?”
“Siamo fermi.” replica Imayoshi-san, mentre io prendo le ordinazioni del suo collega, approfittando della cosa per fingere di non sentire il suo interlocutore mormorare:
“Sai che novità.” viene ignorato, dato che l’altro continua:
“Dobbiamo aspettare che Aomine e Tanaka tornino.” tornino?
Mi faccio decisamente più attento, accorgendomi troppo tardi di star chiedendo:
“Perchè, dov’è?” capisce da solo che mi riferisco ad uno solo dei due e, come se dovessi saperlo, mi risponde:
“Fuori città. A verificare una pista.” si interrompe un momento e, rendendosi conto di non avere reazioni da parte mia, domanda:
“Non… Lo sapevi?” non riesco a replicare, lasciando intendere una risposta negativa che fa calare un istante di silenzio, dopo i quali è Susa-san a riprendere il discorso, con un tono che trapela il suo disagio:
“È stata una cosa improvvisa e sono certo che se Aomine non te l’ha detto è stato unicamente per non farti preoccupare.” ah sì?
Non mi sarei preoccupato, se loro gli avessero dato il tempo di riposare…
Mi volto a dar loro la schiena, con la scusa di preparare la loro ordinazione per evitare di rispondere ma, quando percepisco chiaramente il loro tentativo di giustificarsi, approfitto che sia tutto pronto per metterlo davanti loro, troncando sul nascere qualsiasi cosa e sfoderando un sorriso di cortesia:
“Non credo siate venuti qui per parlare di lavoro, bensì per prendere un caffè. Quindi, ecco qui. Scusate l’attesa, spero sia di vostro gradimento. Con permesso.” poi me ne vado, avendo assolto al mio dovere ed essendomi anche dimostrato incredibilmente professionale, nonostante l’unica cose che volessi dire loro era di non intromettersi nella nostra vita privata.
Cosa ne sanno di come mi sento, vorrei sapere…
Non mi servono le loro parole, per stare tranquillo…
Torno al mio lavoro, sforzandomi di smettere di pensare e di pormi domande, sebbene quest’ultima notizia appena riferitami vada ad alimentare tutte quelle preoccupazioni che, inutilmente, cercavo di soffocare.
Fuori… Da due giorni…
E io… Nemmeno so come sta.
Scuoto mentalmente la testa, imponendomi di stare calmo e ricordandomi alcuni punti fondamentali della nostra relazione.
Primo: mi ama. E non farebbe mai nulla per ferirmi.
Secondo: non hai mai commesso una sola volta una sciocchezza. E questa… Non può essere la prima…
Terzo: ho piena fiducia in lui e nelle sue decisioni. Sperando che questa non l’abbia presa impulsivamente a causa di quanto sta accadendo fra di noi… Perchè… Se io in qualche modo gli avessi fatto percepire una qualche sorta di urgenza per evitare una ipotetitca (e soprattutto improbabile) rottura, io… Non me lo perdonerei mai.
Tuttavia, non ho la possibilità di terminare le mie riflessioni, dal momento che quando passo di nuovo davanti al quartetto, Imayoshi-san insiste:
“Non si tratta di nulla di pericoloso, Aomine deve solo verificare una pista. Inoltre con lui c’è Tanaka, quindi, se dovesse capitare qualcosa, non è da solo.” se dovesse capitare qualcosa…
Non trovo la forza di rispondergli, non volendo nemmeno pensare a quest’ipotesi che, più il tempo passa, più mi tormenta e, quando prova ad aggiungere ancora qualcosa, in mio soccorso giunge Kasamatsu-san, che lo anticipa:
“Non dovreste mantenere la riservatezza sulle indagini, specialmente con i civili?” non posso fare a meno di ringraziarlo mentalmente per avermi evitato di rispondere.
“Lo stiamo solo informando della situazione.” replica Susa-san, per poi tornare a parlare con me:
“Capiamo che tu possa essere preoccupato per lui, ma non hai nulla da temere. Lui stesso ha detto che qualche linea di febbre non lo avrebbero fermato.” qualche linea di…
Quindi le mie supposizioni non erano errate.
“Lascia perdere, Susa.” interviene Imayoshi-san “… Credo che sia meglio tornare in ufficio.” si scambiano uno sguardo di qualche secondo, dopo il quale il più alto lo asseconda, premurandosi di specificare:
“Quando lo sentiremo, gli diremo di chiamarti.” poi se ne vanno, evitando in questo modo di sentire Moriyama-san commentare:
“Non dovrebbero essere loro, a dirgli di farlo.”
“Basta così, Moriyama.” lo riprende il suo vicino, alzandosi “… Dobbiamo rientrare anche noi.” poi mi guarda, concludendo:
“Cercherò di finire prima, oggi. Ti riaccompagno a casa io.” annuisco appena, non trovando nemmeno la forza di parlare e, una volta che la porta si richiude alle loro spalle, scuoto debolmente la testa, concentrandomi sul lavoro per smettere di pensare.
Cosa che mi riesce praticamente inutile.
È questa, la sua risposta?
D’accordo, io non sono stato in grado di nascondergli come la cosa mi preoccupasse ma…
Questa è… La sua risposta?
Insomma, perchè? Non poteva mandare qualcun altro?
Non avevano nessun altro da mandare?
Non poteva… Rifiutare?
Mi do mentalmente dello stupido.
Ecco… Di nuovo a mettere becco nel suo lavoro…
Proprio per questo, mi sforzo di smettere di pensare alla nostra situazione, alle sue condizioni, dedicandomi ad altro, con scarsi risultati dato che, terminato il turno, la prima cosa che mi viene spontanea è controllare il cellulare che, naturalmente, non ha un accenno di chiamata o di messaggio.
Già… Non che mi aspettassi il contrario.
Se non mi ha detto che partiva, non saprà nemmeno che lo so e, di conseguenza, non avrebbe nemmeno motivo di informarmi.
Stupido…
Non è così che mi fa stare meglio.
Rimango a fissare lo schermo del cellulare per diverso tempo, indeciso se chiamarlo o meno, accantonando l’idea quando mi ricordo che non voglio chiamarlo sul lavoro.
Non mi è mai piaciuto. Ho sempre avuto l’impressione di disturbare.
Sospiro interiormente, arrendendomi a rimandare la questione una volta a casa, quando mi butto a peso morto sul letto, fissando prima il soffitto e poi di nuovo il mio cellulare.
E, ancora una volta, rimando.
Diamogli… Ancora un giorno…
Se domani non avrò notizie… Penserò sul da farsi…

 

Apro stancamente la porta di casa, con il morale a terra e non mi ci vuole molto per rendermi conto che, durante la mia assenza, nessuno è entrato.
Già… Nessuno…
E la domanda che mi bombarda in testa è sempre quella: come starà?
Neanche una doccia mi fa sentire meglio ma, quando esco, ho giusto il tempo di rivestirmi e uscire in corridoio per vedere la porta aprirsi e il mio compagno, finalmente, rientrare.
Mi basta un’occhiata veloce per rendermi conto delle sue condizioni e la mia domanda alla fine ha la sua risposta: non bene.
“Finalmente sei tornato.” mormoro, attirando su di me uno sguardo distratto, dopo il quale, superandomi per dirigersi in camera, replica:
“Sono solo di passaggio. Devo prendere un cambio.”
“Un cambio?” gli faccio eco, seguendolo e ottenendo conferma con i miei stessi occhi.
“Devo tornare in ufficio.” in… Ufficio?
Questa volta non mi trattengo:
“Stai scherzando, vero?” mi lancia un’occhiata vaga, ma non risponde, dandomi la possibilità di insistere:
“In quelle condizioni?”
“Prenderò qualcosa quando torno.” quando torna? Come l’ultima volta?
“Se non riposi, puoi prendere quello che vuoi che non servirà a nulla.”
“Kise…” sospira stancamente “… Non ho tempo.” già… Non so perchè ma lo immaginavo.
Ma questa volta, io…
Mi faccio coraggio, impuntandomi:
“Non mi interessa. Per un paio di giorni, se la possono cavare anche senza di te.” mi pento quasi subito di avere parlato, quando si volta nella mia direzione, ripetendo:
“Per un paio di giorni se la possono cavare senza di me?” annuisco appena, cercando di apparire sicuro “… Cosa ne sai, tu? Siamo sotto di personale e questo caso sta impegnando tutti. Tutti, hai capito? Non solo me.” ok ma…
“Se non stai bene…” ci provo, venendo interrotto da lui che ribatte:
“Sto benissimo.”
“Non è vero.”
“Non intrometterti.” non… Intromettermi?
Mi supera, avviandosi verso la porta ma, questa volta, non ho intenzione di arrendermi:
“Mi sto solo preoccupando per te.” ormai sono al limite, non posso più fare finta di niente.
Non ci riesco.
“Non ce n’è bisogno.” si avvia verso la porta ed io, per puro istinto, lo blocco per un braccio, chiedendo:
“Fai sul serio?” mi basta il modo in cui si libera dalla mia presa per capire la sua risposta che, comunque, non tarda ad arrivare anche a parole:
“Sono in ritardo.” non riesco a controbattere e, come apre la porta, tutto quello che riesco a dire con una vena di supplica è un semplice:
“Aspetta!” che, tuttavia, non sortisce alcun effetto, se non quello contrario dato che, sebbene si fermi, mi risponde:
“Non ti ci mettere anche tu. Ho mal di testa, non sto bene, non riesco a ragionare e la nostra pista è saltata. Se non troviamo in frettta qualcos’altro su cui lavorare, mandiamo all’aria mesi di lavoro, cerca di capire questo. Voglio solo chiudere questo stramaledettissimo caso!” anch’io lo vorrei, tanto quanto lui.
Solo che…
“Non voglio che…”
“Così non mi aiuti, maledizione! Ti costa tanto, per una volta, incoraggiarmi?” incoraggiarlo?
E con quali parole? Ormai…
“Non so più cosa dirti.” l’unica cosa che vorrei dirgli in questo momento è di smettere di pensare al suo lavoro ma un po’ più a se stesso, di venire in camera, prendere qualcosa e riposare.
Ma mi è chiaro che non ha intenzione di fare nulla di tutto ciò.
“Allora…” chiude la questione “… Non disturbarti a farti trovare quando rientro.” cos..?
“Cosa?” non credo di aver… Capito bene…
Invece è così, dato che ribadisce:
“Sapevi fin dall’inizio che sarebbe stata così. Se le cose non ti vanno bene, la porta sai dov’è. Non voglio trovarti quando torno.” infine chiude la porta, lasciandomi in mezzo all’ingresso a fissare l’anta che lo ha nascosto alla mia vista e da dietro la quale mi giungono in lontananza i suoi passi allontanarsi, mentre la mia testa concepisce solo le sue ultime parole.
Ci metto davvero qualche minuto a riprendermi e, come questo accade, scuoto debolmente la testa, cercando di scacciare quel senso di stordimento che mi sta sopraffacendo e di fare il punto della situazione.
Se questo è quanto… Credo che ci sia davvero una sola cosa, da fare…

 

** Aomine **
Trattengo, di nuovo, uno sbuffo, fissando senza alcun risultato la lavagna degli appunti, avvertendo un cerchio alla testa e quella sgradevole sensazione di nausea aumentare.
Specialmente se ripenso…
Al suo sguardo… A quello che gli ho detto…
A come è andata a finire.
Sospiro, appoggiandomi alla scrivania con un gomito, per sostenere la testa quando mi appoggio di peso stringendo all’altezza degli occhi.
Maledizione…
Così non riesco proprio a pensare…
“Aomine-san, tutto bene?” domanda Ryo, senza tuttavia riuscire a riportarmi alla realtà.
Annuisco piano, ma insiste:
“È da più di un’ora che fissi il vuoto.”
“Non starai esagerando?” interviene Susa e, a completare il quadretto è Imayoshi:
“Ti avevo detto di riposare. Se peggiori, non sei d’aiuto ad alcuno.”
“Aah, state zitti.” ribatto debolmente “… Non metteteci pure voi.”
“Pure?” fanno eco, ma non ho la forza di rispondere, tanto che Ryo chiede:
“È successo qualcosa con Kise-san?”
“Già…” prosegue Susa “… Mentre non c’eri sembrava molto preoccupato.” già… Chissà perché ma non mi sorprende.
E, di nuovo, giunge il quattrocchi ad aggiungere la ciliegina sulla torta:
“Avresti almeno potuto avvisarlo…”
“Potete darci un taglio?” sibilo, non avendo per niente intenzione di affrontare la questione anche con loro.
Non l’ho chiamato proprio per evitare la discussione che abbiamo avuto.
Maledizione…
Io… Credevo che capisse che chiudere questo caso è quello che devo fare per salvare il nostro rapporto.
Non è così?
Sospiro di nuovo, questa volta pesantemente e ad alta voce, tanto da portare Imayoshi a dirmi:
“Forse è meglio se torni a casa, per oggi. Prenditi qualche giorno e rimettiti. Da quando sei arrivato non hai combinato nulla. Così ci rallenti e basta.” rimango a riflettere, per così dire, mentre le sue ultime parole mi scivolano completamente addosso e la mia mente concepisce solo quanto accaduto qualche ora fa prima di venire qui.
Infine cedo e, lasciandomi andare ad un sospiro, mormoro:
“Io vado a casa. Se avete bisogno di qualcosa, chiamatemi.”
“Non preoccuparti.” lascio la stanza e raggiungo la mia macchina dove, una volta all’interno, mi concedo di chiudere gli occhi e sospirare ancora una volta.
Adesso devo solo… Tornare a casa. Una volta lì… Gli chiederò scusa. Come si deve, questa volta. E poi… Cercherò di farmi passare questa febbre, che sta rovinando tutto.
Così faccio e, una volta di fronte al portone di casa, devo fermarmi a causa di quel senso di nausea che, all’improvviso, si fa insopportabile.
Titubo un momento, in attesa che passi e, sentendomi un po’ meglio dopo un lungo sospiro, mi decido ad aprire la porta, mettendoci qualche attimo a rendermi conto che tutto è immerso nel buio e nel silenzio.
Come sono abituato quando rientro tardi, no? Quando Kise già dorme… No?
Eppure…
Quella sgradevole sensazione aumenta.
Questa volta… C’è qualcosa di diverso.
Percepisco immediatamente il pessimo sentore di qualcosa che manca.
Qualcosa di importante. Che mi è stato portato via.
E, forse, è proprio per dimostrare il contrario di quello che sento che, a voce abbastanza alta, provo a chiamare:
“Sono a casa.” ne ottengo il silenzio.
E non mi piace…
“Kise?” avanzo di qualche passo, trovando la sala e la cucina in ordine perfetto e nessun rumore provenire dal bagno.
Mi rimane solo…
Raggiungo la camera da letto e, nonostante la penombra che vi regna, mi accorgo subito che il letto è vuoto.
Vuoto…
Infine nego, nego anche l’evidenza più chiara.
Forse… È al lavoro…
Già… Potrei convincermene se, controllando tra le sue cose, non notassi quei due o tre oggetti che dovrebbero essere qui e che non ci sono: il carica batterie del telefono, spazzolino, dentifricio, le cose per il bagno…
Scommetto che, se controllassi tra i suoi vestiti, probabilmente mancherebbe anche qualcosa di quelli.
Mi lascio cadere sul letto, sentendomi improvvisamente peggio e soprattutto… Svuotato.
Alla fine… L’ho perso? Ho davvero perso l’unica persona che avrei voluto al mio fianco per tutta la vita?
E per cosa?
Mi appoggio con i gomiti alle ginocchia, prendendomi la testa fra le mani.
No…
Non voglio…
Non posso accettarlo.
Faccio la prima cosa che mi viene in mente, prendendo il cellulare e fermandomi sul suo numero, con tutta l’intenzione di chiamarlo.
Ma mi blocco.
E cosa potrei dirgli? Ti prego, torna.?
Sarebbe quello che penso. Quello che provo.
Ma poi ci ritroveremmo di nuovo ad affrontare quel discorso e, ancora una volta, l’evidenza darebbe ragione a lui. Ma io non posso fermarmi… Non adesso che potremmo essere così vicini… Inoltre… Chiamandolo adesso, chiedendogli di tornare da me, in queste condizioni sarebbe… Addossargli un’altra fonte di preoccupazione. No. Non voglio. Non posso permetterlo.
Mi lascio ricadere all’indietro, chiudendo gli occhi.
Prima di chiedergli di tornare, devo fare qualcosa per dimostrargli che so che ha ragione. Altrimenti sarebbe solo… Il capriccio di un momento.
E non è così.
Non voglio che pensi che sia così.
Quindi, prima di tutto… Devo guarire.
Vorrei mettermi a letto, essendo il primo istinto che avverto subito dopo quello di chiamarlo ma, anche questa volta, mi controllo.
Dormire e basta non serve a niente. Altrimenti le cose sarebbero già migliorate.
Se lui fosse qui vorrebbe che… Mangiassi qualcosa e… Prendessi un antinfluenzale e poi… Riposassi.
Quindi, controvoglia, mi rimetto seduto ma, quando mi appoggio sul materasso per darmi la forza per rimettermi in piedi, la mia mano si posa su quello che, a primo impatto, ha tutto il sentore di essere un foglietto di carta.
Accendo la luce, ottenendo conferma di aver ragione e, prendendolo in mano, scorgo solo poche parole sopra di esse:

 

Non ho cambiato idea.

 

Non ho cambiato idea…
Non posso fare a meno di sospirare di sollievo, sentendomi già decisamente meglio.
Non ha cambiato idea…
Mi passo una mano tra i capelli, più deciso che mai a porre rimedio a quanto successo.
Quindi mi alzo e raggiungo la cucina dove, ripetendomi il mio obiettivo, raggiungo l’angolo cottura per prepararmi da mangiare ma, con la coda dell’occhio, intravedo un altro fogliettino accartocciato a terra, accanto al cestino, che attira la mia attenzione distraendomi sul motivo per cui sono qui.
Deve essere caduto fuori…
Mi chino a raccoglierlo per buttarlo dove dovrebbe stare, senza dargli particolare importanza ma, prima di farlo, mi fermo e, vinto dalla curiosità di scoprire cosa conteneva, lo apro.
Ci trovo di nuovo la scrittura di Kise.

 

Ti ho preparato la cena. È in frigo. Devi solo farla scaldare.
Rimettiti presto.

 

Lo fisso qualche attimo, riuscendo solo a pensare a quanto scritto, non dovendomi interrogare a lungo sul perchè volesse buttarlo.
Dopo la discussione che abbiamo avuto, cos’altro poteva fare?
Così, sentendomi ancora più in colpa di quanto già non facessi, apro il frigo, prendo l’inconfondibile contenitore con la mia cena e, dopo averla fatta scaldare, la mangio, per poi prendere quel benedetto antinfluenzale che, forse, se avessi preso prima, mi avrebbe risparmiato l’averlo allontanato da me.
Sì… Come no…
Come se fosse stato questo, il motivo di quanto successo.
Accantono ogni pensiero, abbandonando la confezione sul ripiano della cucina così da poterla ritrovare lì il mattino dopo e raggiungere il letto, buttandomi di peso su di esso e mettendomi sotto le coperte solo quando il freddo mi pervade.
Prima di tutto… Devo guarire. E una volta che starò meglio… Lo chiamerò.
Affinchè ritorni da me…

 

Continua…

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