Destino (TMR) – Capitolo XIV


Ciononostante, poche settimane più tardi, il mio mondo sembra crollare nuovamente quando, camminando lungo i corridoio, mi capita di origliare una conversazione che mi colpisce come una cascata d’acqua fredda:
“Newt, sei sicuro?”
“Me lo hai già chiesto tre volte, sono stanco di risponderti. Te l’ho detto, andiamocene e basta.” a questo concetto, tutto quello che ne sussegue, comprese le parole stesse e i toni utilizzati, perdono di qualunque valenza.
“Guarda che non è necessario che…”
“Non ci provare. Avrei dovuto saperlo. Sono stato uno stupido, ad illudermi un’altra volta.” infine avverto dei passi allontanarsi ed io ringrazio che non vengano nella mia direzione, sebbene mi servano alcuni secondi per riuscire a svoltare l’angolo e raggiungere Minho, con un’espressione sconsolata più affranta della mia, che si vela di sorpresa quando mi riconosce.
Eppure questo non mi frena dal chiedere conferma:
“Mi sta lasciando di nuovo. Non è vero?”
“Hai sentito?” annuisco, precisando:
“Non tutto. Solo quanto basta.” e le sue parole me ne hanno appena dato conferma.
Restiamo in silenzio per parecchio tempo, fino a quando, non volendomene proprio fare una ragione, trovo la voce di bisbigliare:
“Perchè?” indugia un lungo momento, prima di sospirare e, portando lo sguardo a terra, ammettere:
“Per colpa mia.”
“Tua?” annuisce ma, non essendo una spiegazione sufficiente, insisto ancora.
Volge lo sguardo fuori dalla finestra e, dopo un altro lungo sospiro, confessa:
“Me ne vado.” mi irrigidisco, dettaglio di cui non si accorge, troppo intento a correggersi:
“O meglio, era il mio intento. Volevo andarmene stanotte, senza dirgli niente. Non ho pensato che abbiamo passato davvero troppo tempo insieme e che avrebbe capito il mio intento da solo.” scuote debolmente la testa, continuando:
“Avrei dovuto farlo prima che se ne accorgesse.”
“P-Perchè?”
“Così non sarebbe voluto venire con me e sarebbe rimasto con te.” replica, come se fosse scontato. Tuttavia, non è quello a cui mi riferivo e, dopo aver scosso a mia volta la testa cercando di recuperare un po’ di lucidità, tento di precisare:
“Perchè vuoi andartene?” mi lancia un’occhiata confusa, che nasconde presto riabbassando lo sguardo e, appoggiandosi contro il bordo della finestra, mormora:
“Non… Non riesco a stare a lungo nello stesso posto, dopo quello che mi è successo. Mi sento soffocare, mi manca la libertà.”
“Quello che ti è successo?” si riferisce al suo passato prima che incontrasse Alby?
Pare di sì ma, questa volta, è proprio lui a darmene conferma:
“Prima di incontrare Alby, la gente che mi prese con sè mi teneva incatenato tutto il giorno, specialmente dopo la prima volta che provai a scappare. Mi slegavano solo quando servivo loro e io… Da allora non sopporto alcun tipo di catene.”
“E questo posto lo è?”
“Sì.” non riesco a controbattere e credo che sia questo a riportarlo al presente e, voltandosi di scatto nella mia direzione, esclama:
“Io non intendevo che..!”
“No.” lo interrompo “… Ho capito cosa vuoi dire. Un luogo chiuso, che ti vincola a stare sempre nello stesso posto, non è diverso da una catena.” lo affianco, sebbene a differenza sua, che continua a guardare un punto non precisato al di là dell’apertura, io faccio lo stesso con il muro alle sue spalle, completamente svuotato.
Proprio ora che credevo che andasse tutto bene.
“Sai…” prova a consolarmi, poco convinto “… Lui non vorrebbe lasciarti.”
“Ma non può separarsi da te.” questo mi è chiaro.
Sfortunatamente mi è sempre stato chiaro.
“No…” ammette, con un filo di voce ed io, spinto dalla frustrazione, aggiungo:
“Come tu non puoi separarti da lui.” altrimenti se ne sarebbe andato prima che Newt si accorgesse di questo suo intento, immagino.
“È la mia famiglia.” ribatte e, nonostante il mio sconvolgimento emotivo, mi è più che chiaro come si senta ferito dalla mia muta insinuazione.
Ne ho la conferma sostenendo il suo sguardo, che mi porta a sospirare e poi a scusarmi:
“Lo so. Mi dispiace, io non… Non volevo.” e addossare la colpa a lui di certo non cambierà la situazione.
Nè lo convincerà a cambiare idea.
Sospiro pesantemente.
Possibile che non ci sia niente, che io possa fare?
Con così poco preavviso, temo davvero che la risposta sia no.
Sospiro ancora, mormorando:
“Perchè non hai detto niente?”
“Te l’ho detto, volevo andare senza che lo sapesse.”
“Intendo a me.” preciso e, di nuovo, ci scambiamo un’occhiata di qualche secondo, prima che, riprendendo a guardare fuori, replichi:
“Se ti avessi detto qualcosa… E lui avesse capito che tu sapevi e non gli hai detto niente…” non conclude ma capisco ugualmente come lo avrebbe fatto: non me lo avrebbe mai perdonato.
Mi lascio cadere a terra, portando una mano sotto la tunica per prendere il mio dado, che fisso sconsolato.
Infine confesso:
“Forse lo stupido sono io.”
“Eh?”
“Volevo credere di essere io, la persona che faceva coppia con lui. In realtà non volevo ammettere che sapevo che non è così.”
“Cosa vuoi dire?” domanda, guardandomi dall’alto.
“Non è chiaro?” è ovvio che non sono io, il dado che fa coppia con Newt.
È lui, che lo è.
“Non dire sciocchezze. È lui che ti ha dato quel coso, è lui che ha deciso così.” già…
Vorrei crederci.
“Senti.” riprende “… Dagli un po’ di tempo, quando si sarà calmato gli parlerò. Vedrai che lo convincerò che la sua scelta di venire con me è pura follia.” accenno ad un sorriso amareggiato.
“Come se ci credessi almeno tu.” tace, confermandomi di avere ragione.
Che grande re, che sono.
Sudditi a non finire, un regno talmente vasto da avere bisogno di gente che consegna di persona i messaggi per me e…
E…
E.
Alzo una mano per attirare la sua attenzione, colpendolo ad un ginocchio e strappandogli un’esclamazione di sorpresa, di cui non mi curo, per sollevare lo sguardo su di lui e affermare:
“Forse ho la soluzione che fa al caso nostro.”
“E sarebbe?” mi alzo, mettendolo al corrente di essa e lasciandolo a fissarmi in silenzio per un lungo momento, tanto da indurmi a domandare, incerto:
“No?”
“Al contrario.” biascica, decisamente sorpreso “… Perchè non ci hai pensato prima?” a dire il vero…
“L’avevo fatto quando ha deciso di imparare a scrivere ma poi ho accantonato l’idea. Credevo non sarebbe mai stato d’accordo.”
“Oh, di certo avrà le sue contestazioni…” me le elenca ma, a tutte queste, ho già pronta una replica più che convincente, tanto che è il primo ad arrendersi.
Eppure voglio lo stesso assicurarmi:
“A te starebbe bene?”
“A me di sicuro. Anzi. Probabilmente non potrei chiedere di meglio.”
“Bene.” affermo, dandogli un colpetto sulla spalla “… Allora andiamo.” non si oppone, al contrario mi segue, consigliandomi semplicemente:
“Però vacci piano. Dovresti aver immaginato che non l’ha presa bene.” voglio proprio sperarlo.
“Non ti preoccupare.” lo rassicuro a mia volta e, prima di raggiungere la nostra meta, mi fermo solo per una richiesta, indispensabile all’ottenimento del mio obiettivo.
Quindi, a destinazione, sono io a bussare alla porta, ricevendo risposta quasi subito:
“Che vuoi, ancora?” entro, senza attirare la sua attenzione, cosa che riesco a fare solo rispondendogli:
“Parlare.” si volta di scatto, con un’espressione sorpresa e ferita al tempo stesso e, quando si accorge anche di Minho, è a lui che si rivolge, esclamando, con un velo di accusa nella voce tremante:
“Gliel’hai detto?”
“Vi ho sentito parlarne per caso.” lo informo, riprendendo su di me il suo sguardo che, tuttavia, si abbassa quasi subito e, mentre mi dà la schiena, avanzo di un passo, riprendendo:
“Newt, io forse… Ho la soluzione che fa al caso nostro.”

 
Continua…

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