Destino (TMR) – Capitolo XII


** Newt **
“Ti lamentavi tanto…” commento, rivolto a Minho, zoppicante accanto a me “… Eppure sei già in piedi.” a gironzolare ovunque senza il minimo ritegno.
Dopo nemmeno tre giorni di convalescenza.
Se avessi creduto anche solo per un momento alle sue parole, gli rinfaccerei di avermi promesso di stare lontano dai guai!
“Non resistevo più, mi sentivo ammuffire, dentro quel letto.” già, lo immagino.
Lo conosco, in caso non se lo ricordasse!

E infatti vorrei chiedergli come pensa allora di poter rimanere tutta la vita in questo castello ma le parole mi si fermano in gola quando, passando davanti alla biblioteca la cui porta è spalancata, il mio sguardo si fissa sui tre bambini che la occupano, insieme allo zio di loro padre, togliendomi ogni capacità di parlare e di camminare.
Poco dopo, avverto la mano di Minho posarsi sulla mia spalla e la sua voce giungermi bassa:
“Tutto bene?” cerco di disincantarmi e di smettere di ripetermi cosa significa tutto questo, sforzandomi di guardarlo e di accennare ad un debole gesto affermativo della testa, sebbene poi il mio sguardo possa tornare in una direzione sola che, successivamente, diventa anche quella del suo.
“Credevo che ne aveste parlato.” non di questo…
Di questo non c’è molto di cui parlare.
Doveva avere un erede, questo posso capirlo. Uno non mi avrebbe sorpreso.
Ma tre… Tre.
Tre, maledizione. Tre significa che…
Non concludo il pensiero, distratto ancora una volta dal mio vicino:
“Almeno… Lo sapevi?” scuoto debolmente la testa.
Lui non me ne ha parlato e, di certo, non è stata la prima domanda che mi è venuta in mente.
L’ho scoperto per caso quando, come lo stupido che sono, dopo che mi ha accompagnato in quella che lui vuole che consideri la mia stanza, mi sono reso conto di non avergli detto nemmeno un grazie e quindi ho voluto rimediare.
E l’ho seguito, come uno stupido.
E l’ho visto. Con tre figli e una moglie. Con la sua famiglia felice di cui io non faccio parte.
E di cui mai farò parte.
Nonostante le sue parole in risposta alla domanda del più piccolo.
“Papà, ma lui è importante come la mamma?”
“Beh, la mamma è importante perchè mi ha dato voi. Lui è importante perchè… Perchè è lui…”

Parole.
Parole che non possono cambiare la realtà dei fatti.
Per quanto io sia il primo a voler rimanere con lui, so benissimo di non aver alcun titolo per farlo.
Men che meno ora, che ha una famiglia e dei figli da crescere, oltre ad un regno di cui occuparsi.
Ed io non voglio portare via niente a nessuno.
Tantomeno a lui.
Ah, che stupido.
Torno bruscamente alla realtà a causa di uno schiaffo parzialmente affettuoso dietro la testa che, facendomi sobbalzare, mi fa anche perdere la presa sul pendaglio, che nemmeno mi ero accorto di aver preso in mano.
“Ma che..?” mi lamento in direzione del fautore del gesto che, scrollando le spalle, mi dice semplicemente:
“Ci stai pensando troppo.”
“Non sai neanche a cosa stavo pensando.” lo riprendo, in parte offeso.
“Non ha importanza. Stavi pensando e questo è già troppo. Mettiti bene in testa che adesso conta solo che vi siete ritrovati e che quello che provate l’uno per l’altro è lo stesso. Basta! Il resto è affrontabile, basta fare ognuno la propria parte.” lo guardo, senza celare il mio sbigottimento a causa delle sue parole.
“Da quando sei diventato così saggio?” la risposta, decisamente più seria di quanto mi aspettassi, mi lascia ancora più incredulo:
“Da quando ti ho visto distruggerti per sei anni e io non ho fatto niente per impedirtelo. Non voglio vederti di nuovo in quelle condizioni.” non riesco proprio a replicare e credo che se ne accorga, a giudicare dal fatto che aggiunga:
“Che c’è? Se pensi di essere solo tu che ti preoccupi per me, ti sbagli di grosso.” accenno ad un sorriso ma, prima che possa lasciarmi andare ad una risposta, veniamo raggiunti dai tre bambini che, litigando per chi si fa prendere in braccio da Minho per primo, interrompono qualsiasi nostro dialogo.
E immediatamente vengono ripresi dal loro attuale tutore, che li richiama agli studi, di cui veniamo resi partecipi dal secondo:
“Stiamo imparando a scrivere!”
“Una vera seccatura.” borbotta il più grande, incrociando le braccia al petto e assumento un’aria imbronciata vagamente familiare.
“Principe Chuck, non dovete dire così.” lo riprende lo zio, raggiungendoci con un’espressione chiaramente irritata “… La scrittura è fondamentale per la vostra crescita e soprattutto per la vostra successione al trono.”
“Non mi serve scrivere! Papà ha chi lo fa per lui!”
“È vero, vostro padre ha degli scribani che mettono per iscritto messaggi e tutto il resto, ma non per questo non conosce la scrittura e una corretta ortografia.” viene ripreso, mentre io vengo tirato per un braccio e, abbassando lo sguardo, mi ritrovo a guardare il secondo, che esclama:
“Zio! Zio! Studia con noi!” io?
“Non ci penso neanche.” affermo, mentre il mio vicino si mette a ridere, beccandosi una fulminata, essendo la causa principale di questo stupido nomignolo che proprio odio.
È tutta colpa loro!
Quello stupido di Tommy, per spiegare a questi tre il legame che lo unisce a Minho lo ha definito come un fratello! Ma questi mocciosi non hanno colto la differenza ed essendo io il primo a considerare Minho proprio come tale, per estensione ora sono considerato anch’io così!
Ma lo odio.
Giuro che lo odio.
Così come odio loro.
Tutti e tre.
“Avanti, prova!” mi incoraggia invece il mio vicino, con un sorriso “… Male non ti farà!” poi ammicca, concludendo:
“E poi, chissà! Se tu imparassi a scrivere, nessuno potrà dire che non hai un motivo per restare con Thomas.” a questa prospettiva, a cui non avevo affatto pensato, perdo la forza di oppormi, scatenando l’esultanza dei bambini, del primo in particolare e, senza nemmeno sapere come, mi ritrovo seduto ad un tavolo, accanto al vecchio che mi guarda storto e circondato dai marmocchi, che ora più che mai sembrano dei cagnolini scodinzolanti.
Provo a farmi da parte ma, quando incrocio gli occhi speranzosi del più piccolo, ne perdo ogni forza.
Quello sguardo… Così simile a quello di suo padre.
Che è come una catena e ogni volta che lui mi guarda, io… Mi sento incatenare sempre di più.
E finirò con il ritrovarmi immobilizzato, senza possibilità di liberarmi.
Incatenato per il resto della mia vita.
A lui. Da quello sguardo.
E il colpo di grazia mi arriva dal tutore dei bambini che, senza nascondere il suo disprezzo, commenta:
“Imparare a scrivere è un’arte che di certo non si apprende in poco tempo e non è alla portata di tutti.” mi sento pungere nell’orgoglio ed è solo per non dargli questa soddisfazione che prendo una penna, sfidandolo a mia volta:
“Stiamo a vedere.” non muta espressione, sibilando:
“Bene.” bene.
Perchè se crede che rimanga qui a farmi trattare come un pezzente da uno spocchioso con la puzza sotto il naso, si sbaglia.
Si sbaglia di grosso.
Quindi la lezione inizia, sotto lo sguardo divertito di Minho che fa solo da spettatore e, nel giro di poco anche i tre riprendono con il loro dovere, ottenendo i rimproveri del loro maestro:
“Principe Chuck, avete ereditato le zampe di gallina da vostro padre.” do una piccola sbirciatina e, rendendomi conto dell’abisso che c’è tra me e il primogenito, non sono molto sicuro di come dovrei prenderla, specialmente quando l’uomo, guardandomi di proposito, aggiunge:
“Quanto vorrei che aveste preso l’elegante scrittura di vostra madre.” è una provocazione?
Perchè se è così, io..!
Io…
Prendo un respiro profondo, cercando di ricordarmi del motivo per cui lo sto facendo e cercando di soffocare quella sensazione per la quale sentirmi uno stupido sarebbe già un sollievo.
Infine riprendo a concentrarmi su quanto sto facendo, ripetendomi ad ogni tentativo di quanto ne valga la pena, pensiero costantemente ribadito dal pendaglio che, al di sotto della mia tunica, picchia insistentemente e sempre più di frequente contro la mia pelle, ricordandomi cosa esso contiene.
Sì… Ne vale davvero la pena.
In fin dei conti…
“È il dado che fa coppia con me.”
E questo, ormai, lo so anch’io.
Quindi non mi arrendo, nonostante i continui fallimenti e, anche quando il vecchio capitola, decretando finita la lezione e me una causa persa in partenza e senza alcuna speranza, mi ritrovo a voler insistere, incoraggiato e imitato dai tre, che non mi mollano un attimo solo, per somma gioia e soddisfazione di Minho.
Ma non lo faccio per loro.
Lo faccio per me.
Sono stanco del niente e sono stanco di essere trattato come una pezza da piedi.
Voglio stare con Tommy.
E non voglio che sia il solo a lottare, per poterlo fare.
Sfortunatamente, veniamo interrotti più tardi dall’ultima persona che vorrei vedere in questo momento e che, raggiungendoci al tavolo, commenta:
“Che sta succedendo? Credevo foste in giro a fare danni. E invece vi trovo qui a studiare, il che ha qualcosa di incredibile.” la risposta, decisamente fantasiosa e fuori luogo, gli arriva dal secondo:
“Lo zio Newt ha deciso di imparare a scrivere, così può restare con te per sempre!”
“Cos..?!”
“Davvero?”
“Io non ho..!” esclamo ma, quando incrocio i suoi occhi, quei dannati occhi brillanti, le parole mi muoiono in gola ed io riesco a malapena ad aggiungere un flebile:
“Detto…” prima di rinunciare del tutto, sentendo più sostengo il suo sguardo un altro anello aggiungersi a quella catena che mi lega a lui ed io mi rendo conto che ormai è troppo tardi.
Incatenato.
Definitivamente.
Distolgo immediatamente lo sguardo, con la scusa di riportarlo sul mio (orrendo) lavoro ma lui, incurante della mia velata richiesta di non badare a me, prende posto accanto al mio, riprendendo:
“Sarebbe davvero fantastico.”
“Non farti troppe illusioni.”
“Perchè?” che razza di domande!
E, anche se trovo la cosa terribilmente imbarazzante, gli faccio notare:
“Non so se ne sono in grado.”
“Non preoccuparti.” afferma, inducendomi inconsapevolmente a guardarlo e, fissando gli occhi nei suoi, non riesco in alcun modo a distoglierli “… Ti aiuterò io.”

 
Continua…

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