Destino (TMR) – Capitolo VIII


6 anni dopo
 

** Newt **
Sospiro interiormente, cercando di disincantarmi dalla pentola di stufato che ribolle davanti a me, continuando a rigirarmi tra le dita il pendente che porto al collo, uscendo dai miei pensieri solo quando è la voce di Minho a strapparmi da essi:
“Chissà cosa starà facendo.” sobbalzo, guardandolo non avendo capito del tutto le sue parole e facendolo proseguire:
“Stavi pensando a questo, no?”

“Non capisco di cosa parli.” ribatto, tornando a dare la mia attenzione al pranzo.
“Non pensavi a Thomas?” mi irrigidisco, facendo veramente fatica a sentire ancora quel nome, ribattendo:
“Affatto. Pensavo ad Alby.”
“Allora…” avanza di qualche passo nella mia direzione, fino a prendere il pendaglio, che per la sorpresa ho lasciato tornare appeso al mio collo, per farmelo ricadere sotto la tunica “… Se pensavi ad Alby, puoi tornare a nascondere questo.” non mi sorprendo di sentire quanto è caldo, chiaro segno del lungo tempo che devo averlo tenuto in mano, senza replicare.
Quindi è ancora lui a continuare:
“Sei sicuro che sia stata la scelta giusta?” sospiro pesantemente, ricordandogli:
“Mi fai questo discorso ogni stagione. Sono stanco di sentirlo.”
“È perchè io credo che sia stato un errore. Sei sicuro di non essertene pentito?”
“Sono sicuro.” affermo, cercando di sembrare deciso.
“Lo sai? Su questo non riesci proprio a mentire.” lo so.
Tuttavia, mi sforzo di ricordare a me stesso:
“Quello non era il mio posto.” non lo sarà mai.
Lui era il principe ed io… Io nessuno.
“Credi davvero che a lui importasse?” che domande, no di certo.
Ma questo non cambia le cose. Non le avrebbe cambiate.
Ed io non potevo metterlo in difficoltà solo per me.
Non che volessi che rinunciasse a tutto per me, che fossi l’unico della sua vita. Mi sarebbe bastato semplicemente stare ancora con lui, anche se non avrei saputo dove nè come.
Ma non potevo chiederglielo. Non quando stava per sposarsi.
Le cose si sarebbero fatte troppo complicate, con il tempo, ed io non volevo coinvolgerlo in niente.
Che poi è quello è rimasto.
Niente…
A questo pensiero, ancora, avverto gli occhi pizzicare ed un fastidioso nodo alla gola, per il quale cerco di chiudere la questione:
“Senti, ormai è tardi e non si può tornare indietro.”
“Sì che puoi, invece. Devi solo volerlo.” lo voglio.
Certo che lo voglio!
Se potessi tornerei indietro, impedendomi di baciarlo in quel maledetto bosco!
Ah, se avessi saputo prima chi era veramente, non l’avrei mai fatto.
Forse gli avrei fatto meno male.
Sarebbe stato più facile, poi, lasciarlo andare.
Già… Se solo ci fossi riuscito.
Scuoto fermamente la testa, ribadendo, cercando di convincermi:
“No, non posso.” e poi forse per lui è una storia chiusa, che non ha interesse a riaprire.
Con che coraggio potrei ripresentarmi da lui? Per dirgli cosa? Ho sbagliato ad andarmene, avrei dovuto fare come mi ha sempre ripetuto Minho e parlarti per cercare insieme una soluzione, invece non l’ho fatto, ho fatto di testa mia perchè non riuscivo a parlarti però ora eccomi qui, come se niente fosse successo, come se il tempo non fosse mai passato!?
“Pensala come vuoi.” si arrende “… Ma io non smetterò di cercare di farti provare.”
“Perdi tempo.” non mi sente, o forse finge, prendendo la scusa di allontanarsi, probabilmente alla ricerca di un pasto migliore di quello che ho appena bruciato, di nuovo.
Sbuffo, senza contentere la mia frustrazione.
Bene, perfetto!
Ci mancava solo questa…
E, come rimango da solo, mi perdo di nuovo nei miei pensieri, sentendo più forte di me riprendere il pendente per rigirarlo tra le dita, ripensando alle sue parole.
Verrò da te.
Che stupido. E come pensava di fare?
Scuoto la testa, arrendendomi a buttare quello che rimane del mio tentativo di cucina e ad attendere Minho, con un arrosto rubato come sempre dalla città più vicina.
Eppure questa volta porta anche una notizia:
“È meglio andarcene da qui. Sembra che l’esercito nemico si stia avvicinando al confine e, se lo supera, attaccherà certamente questa zona.” non ho nulla in contrario e, infatti, ci prendiamo solo il tempo di mangiare e rimettere insieme quelle poche cose con le quali ormai viviamo.
“Cerchiamo ancora Alby, giusto?” chiedo, nonostante sappia che la risposta è ovvia:
“Cerchiamo ancora Alby.” così, prendiamo il cammino nell’ennesimo tentativo di ritrovare quella che una volta era la nostra famiglia, sebbene sia palpabile la tensione che aleggia nell’aria negli ultimi tempi, come se tutti aspettassero lo scoppio di una guerra.
E in effetti è esattamente quello che avviene una settimana dopo, quando scopriamo che i soldati del regno vicino hanno invaso questo e che, già pronti a quest’eventualità, la corona non ha tardato a mandare il suo esercito per bloccarli, costringendoci di conseguenza a scappare in continuazione, per evitare i saccheggi che, da quel momento in poi, si fanno quasi una questione quotidiana, nonostante non ci coinvolgano direttamente, in quanto vagabondi senza alcun valore.
Mi lascio cadere a terra, completamente sfinito dal cammino quasi ininterrotto di tre giorni.
“Sei stanco?” domanda il mio compagno, inginocchiandosi davanti a me per prendere dalla borsa quello che rimane delle nostre risorse di cibo.
“Tu no?” mormoro, conoscendolo abbastanza bene da stupirmi del suo essere ancora in forze.
“Un po’.” ammette, infatti “… Ma è pericoloso restare qui. Dobbiamo continuare a muoverci.”
“Lo so.” so che non abbiamo alternativa, dal momento che ormai i soldati ammazzano indiscriminatamente tutte le persone che incontrano sul loro cammino, incuranti del fatto che siano uomini, donne o bambini, soldati, artigiani o contadini.
Mi rimetto in piedi, facendo leva sul suo braccio, senza frenare un sorriso di gratitudine quando mi incoraggia:
“Forza. Più avanti c’è un villaggio, sono sicuro che lì troveremo rifugio per un po’.” annuisco, condividendo l’idea e sentendomi rincuorato da questa possibilità, dovesse essere anche solo per una notte.
Malgrado le nostre speranze, però, nel relativamente breve tragitto che ci separa dalla nostra meta, veniamo intercettati da alcune guardie che, incuranti di chi siamo o non siamo, come sempre partono all’attacco, costringendoci ad una sfortunata corsa, perfettamente inutile.
Infatti, non fanno fatica a raggiungerci e, se riusciamo a disarcionarne uno in un patetico tentativo di difesa e a metterlo fuori combattimento, l’altro scappa via al galoppo giurando vendetta e travolgendomi con la sua cavalcatura, facendomi cadere a terra.
Maledizione…
Mi rimetto in piedi, imprecando contro l’uomo, appena prima di voltarmi verso Minho, sentendomi paralizzare quando lo vedo a terra, con le mani a stringere una gamba, sanguinante.
“Minho!” esclamo, come mi rendo conto di cosa questo significhi, raggiungendolo di corsa per inginocchiarmi davanti a lui, per controllare le sue condizioni, con le mani tremanti e la vista non chiara.
“Mi-Minho! Cosa..?” non risponde, se non con un lamento di dolore ed io, verificando più da vicino, capisco che la sua ferita è dovuta ad una spada che ha trafitto la coscia da parte a parte.
“Dobbiamo..!” trovare qualcuno che lo medichi!
“Newt.” mi richiama, cercando di far sembrare la voce ferma, senza riuscirci “… Quell’uomo tornerà e… Non sarà da solo. Devi… Andartene. Adesso.”
“Non dire sciocchezze.” lo riprendo “… Non me ne vado, senza di te.”
“Tu… Non dire sciocchezze…” mi rimbecca, prima di prendere un respiro profondo, probabilmente per riuscire a continuare “… Non posso camminare… In queste condizioni. Va’… Senza di me.”
“Forse non hai capito.” ribadisco, passandomi il suo braccio intorno alle spalle per issarlo.
“Newt.” ci riprova, sebbene non si opponga al fatto che lo trascini con me verso il possibile villaggio “… Non essere… Stupido.” questa volta non rispondo, sotto lo sforzo di portarlo con me mentre, a fatica, cammino lungo quella che era la nostra strada prima dell’arrivo di quei due soldati, ringraziando il fatto che non aggiunga altro.
A destinazione, mi rendo immediatamente conto che il villaggio è deserto ma, non volendomi ancora arrendere, provo lo stesso a chiamare, ottenendo in risposta solo il silenzio, che mi porta a raggiungere il primo casolare, che si rivela essere quello che rimane di una fattoria, deserta.
“Direi…” ansimo “… Che qui può andare…” appoggio Minho nell’angolo più pulito che riesco a trovare, controllando subito le sue condizioni.
Mi sento veramente prendere dal panico quando mi rendo conto di quanto sia pallido e che il lato dei calzoni dove è stato ferito è completamente zuppo di sangue.
D’accordo, Newt. Calmati. Respira. Piano.
“Vado… A cercare aiuto.” bisbiglio, sforzandomi di apparire convinto delle mie parole, prima di alzarmi e correre fuori dalla struttura, chiamando ancora nel villaggio e aprendo tutte le porte che trovo, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che ci possa aiutare.
Trovo solo qualche avanzo di cibo malmesso ma, fortunatamente, dell’acqua pulita e diverse lenzuola che potrebbero servire.
Infine, torno al mio compagno, trovandolo con gli occhi chiusi ma, quando lo chiamo, li riapre di scatto, facendomi fare un sospiro di sollievo.
“Come ti senti?” domando, sperando che questo lo aiuti a rimanere lucido e a calmare me.
“Debole.” ammette, senza trattenere un lamento di dolore quando, meglio che posso, lavo la sua ferita, che si rivela peggio di quanto credessi, per poi bendarla come mi viene “… Newt… Torna… Da Thomas.” ci metto qualche attimo a capire le sue parole, che mi portano ad abbassare la testa e a sibilare:
“Sta’ zitto.”
“Non sto… Zitto. Non adesso. Ti ho detto che… I soldati torneranno… E lui è… L’unico che può… Proteggerti.” ignoro completamente la sua affermazione:
“Vado a controllare la situazione.” esco dall’edificio prima che possa insistere, assicurandomi così che il discorso finisca definitivamente, camminando per le stradine del posto alla ricerca di qualcosa di utile.
Trovo tutto come avevo sospettato ad una prima occhiata, deserto e quasi del tutto privo di risorse, tanto che sono costretto a tornare dal mio compagno, mormorando:
“Dovrebbe esserci un altro villaggio, poco più avanti.” annuisce debolmente, confermandomi:
“Ad un paio di ore di cammino.” bene.
“Correndo ci metterò anche di meno. Vado a cercare cibo e aiuto.” lo copro con una coperta “… Tu aspettami qui.”
“Newt….” ci prova ma lo conosco davvero troppo bene per non sapere cosa potrebbe volermi dire, motivo per il quale mi affretto ad uscire, deciso a fare come da programmi.
Ne resto molto deluso, dato che tutto l’aiuto che trovo nel villaggio accanto sono bastonate, un sasso che mi manca per un soffio e delle cibarie che posso solo rubare, prima di tornare da Minho, sull’imbrunire.
E, come capisce come sono andate le cose, non mi risparmia la predica sul fatto che fosse pericoloso per me, predica che, oltre a non ascoltare, mi affretto a zittire, ficcandogli un pezzo di pane in bocca, ordinandogli di mangiare e di recuperare le energie.
Poi controllo di nuovo le sue condizioni, non sicuro di dovermi sorprendere quando il tessuto che forma la sua fasciatura si rivela già essere sporco di sangue.
Maledizione…
Ma nemmeno nei due giorni successivi trovo qualcuno che mi dia ascolto e, quando il pallore di Minho aumenta sensibilmente, tanto quanto la febbre che lo colpisce all’improvviso, mi arrendo a fare l’unica cosa che mi resta e che mai avrei pensato di fare.

 
Continua…

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