Destino (TMR) – Capitolo VII


Invece pare non essere così, nonostante io passi tre infiniti quanto brevi giorni a spremermi le meningi, senza trovare una soluzione nè la possibilità di parlargli di persona, dato che, quelle due volte che ci siamo incrociati, il suo sguardo è stato più che eloquente.
E ora che so che cosa cela, non ho proprio il coraggio di rischiare di ferirlo ancora.
Almeno non fino a quando avrò pronta la soluzione per noi!
Sospiro, appoggiandomi con un braccio alla finestra, per appoggiarci la fronte e continuare a fissare fuori, sempre più sfiduciato.
A distrarmi dai miei pensieri è la mia fidanzata che, seduta al tavolo alle mie spalle intenta ad intessere quello che credo essere un merletto (o quello che è), commenta:
“Sai, girano delle voci strane, ultimamente.” sospiro interiormente e, seppur non sia minimamente intenzionato, cortesia vuole che chieda:
“Che genere di voci?”
“Su di te e quel ragazzo biondo che hai insistito per portare qui. Dicono che siate innamorati ma, oh, andiamo! Tutto questo è assurdo! Non è vero?”
“Non sono voci.” bisbiglio, più a me stesso che a lei “… È la verità.” credo che mi abbia sentito, a giudicare dal fatto che rimanga in silenzio qualche attimo, per poi domandare:
“Come, scusa?” ed io, quasi come se questo servisse a qualcosa, ripeto:
“Non sono voci, è la verità.” mi sono completamente innamorato di lui, del suo modo di starmi vicino quando non sapevo chi fossi, di rasserenarmi, di consolarmi…
Di farmi sentire bene.
“Thomas.”
“Non annullerò il matrimonio, se è questo che ti preoccupa.” la interrompo, prima che possa dire qualcosa che possa irritarmi o buttarmi maggiormente a terra “… Anche se le cose stanno così.” credo che volesse aggiungere ancora qualcosa ma si interrompe non appena la porta si apre, permettendo a mio zio di fare il suo ingresso per informarmi dell’imminente inizio della riunione, motivo per il quale devo seguirlo.
Eppure, vengo fermato sulla soglia, ancora da Teresa che insiste:
“Thomas.” la guardo, dandole la possibilità di chiedermi:
“È solo un interesse passeggero. Non è vero?” la mia risposta non ha bisogno di tante spiegazioni:
“No.” infine, considero il discorso chiuso, riprendendo a seguire mio zio a cui, alla domanda:
“Che succede fra voi due?” rispondo piuttosto vagamente:
“Niente.” non indaga oltre e questo ci permette di arrivare a destinazione parlando d’altro e, durante l’incontro, mi sforzo più che posso di prestare attenzione, senza lasciarmi trascinare dai miei pensieri e dai miei sentimenti che, ora più che mai, mi schiacciano a terra.
Vorrei averlo di nuovo accanto a me…
Eppure, sembra che il destino la pensi diversamente da me e, due giorni dopo, ho finalmente la mia occasione di poter chiarire l’intera faccenda, trovandolo ad aspettarmi lungo il corridoio e il suo esordio è proprio l’ultima cosa che avrei voluto sentire da lui:
“Me ne vado.” poi si corregge:
“Noi… Ce ne andiamo.” avverto una cascata d’acqua gelida cadermi addosso, tanto che riesco solo a chiedere:
“Perchè?” accenna ad un sorriso amareggiato e, continuando a guardare in basso evitando accuratamente la mia figura, mormora altrettanto semplicemente:
“Questo non è il mio posto.” nemmeno accanto a me? oserei domandare, se non avessi troppa paura della sua risposta.
Quindi, ancora una volta, la mia replica è la più banale che potessi concepire:
“Quando?”
“Subito.” di nuovo, il gelo prende possesso di me, presto sopraffatto dall’istinto che mi spinge a volerlo fermare, a tutti i costi.
Ma come apro bocca per metterlo a conoscenza del mio desiderio di non separarmi da lui, mi brucia sul tempo, bisbigliando:
“Non dire niente. Per favore.” è solo il suo tono che mi convince ad accogliere la sua richiesta, avendo il sentore che, qualsiasi cosa possa dire, peggiorerebbe solo la situazione.
Eppure, nonostante rimanga in silenzio per qualche attimo, percepisco come ci sia altro, o forse voglia semplicemente illudermi di questo, e rimango in attesa che concluda quello che ha da dirmi.
Sembro non sbagliare, a giudicare dal respiro profondo che prende, prima di allungare un pugno nella mia direzione.
Ed io, stupidamente, faccio altrettanto, inconsapevolmente già sapendo cosa vedrò quando lascia ricadere nel mio palmo quello che poi ho la conferma essere il dado che fa coppia con quello che già mi ha dato, sussurrando:
“Sono stato uno stupido, ad illudermi.” infine, senza darmi la possibilità di ribattere, mi supera ma, per nulla intenzionato ad arrendermi ancora, provo a fermarlo per un polso, facendolo immediatamente scattare sulla difensiva e ritirare il braccio non appena lo sfioro.
Infine ripete semplicemente, con un filo di voce che a me suona tremante:
“Per favore…” ed io mi rendo conto che l’unica cosa che posso fare è lasciarlo andare, senza davvero poter provare a convincerlo in qualche modo a restare.
E, non appena scompare dalla mia vista, non mi trattengo dal bisbigliare, non potendolo più trattenere:
“Resta con me.” eppure, so benissimo che non può sentirmi e, totalmente a terra, mi lascio ricadere contro il muro, portando lo sguardo sul dado che reggo in mano, mentre le sue parole risuonano debolmente nella mia testa.
Sono stato uno stupido, ad illudermi.
Sono io quello che si sta illudendo o se ha detto così è perchè ci ha creduto davvero, a noi?
Scivolo fino a terra.
Maledizione… Come posso lasciarlo? Adesso? Così? Senza fare niente?
Esco dai miei pensieri poco dopo, quando dei passi mi riportano alla realtà e, sollevando lo sguardo, non so se ringraziare di incontrare quello di Minho.
Resta in silenzio qualche secondo, poi domanda:
“Te l’ha detto?” non è evidente?
Ciononostante, preferisco interpretare il suo come un tentativo di rompere il ghiaccio e, proprio per questo, annuisco debolmente, facendolo venire a sedersi accanto a me.
Di nuovo, trascorriamo qualche attimo senza parlare, fino a quando è ancora lui a riprendere, confessando:
“Mi mancherai. Sai, è durato poco ma… È stato bello. Sei un bravo ragazzo e scommetto che diventerai un grande re.” non mi importa niente, di tutto questo.
“Vorrei solo che restaste.” tutti e due.
Quel mese trascorso insieme è stato… Forse l’unico momento in cui mi sono sentito libero di essere me stesso.
Mi hanno conosciuto come tale. E solo con loro sento di poterlo essere completamente.
Vorrei… Che rimanessero con me.
Sospiro pesantemente, passandomi le mani sul volto, ben sapendo che niente che potrei dire o fare potrebbe cambiare quella decisione.
Tuttavia, provo ugualmente a mormorare:
“Potete… Aspettare almeno domani?” ancora per un giorno…
Vorrei avere la speranza di poter recuperare qualcosa.
“Proverò a convincerlo.” annuisco, in modo che sappia che l’ho sentito ma non si alza ed io nemmeno, così da poter trascorrere credo solo un’ora così, semplicemente seduti uno accanto all’altro, troppo consapevoli che ormai tutto sta finendo per provare a dire qualcosa.
Infine vengo richiamato dalla mia corte per i soliti affari, che mi costringono a prendere congedo da Minho, che riesco ad incrociare molto più tardi solo il tempo che mi informi, di sfuggita, dell’esito positivo del suo tentativo, che mi concede una sera sola ancora per sperare.
Per cercare.
Per pregare per una soluzione che ci permetta di non separarci.
“Thomas, si sta facendo tardi.” mi avvisa Teresa, entrando nel mio studio, al cui tavolo sono seduto da dopo cena a fissare un piccolo oggetto ben preciso, cercando, sperando, pregando “… Non vai a dormire?”
“No.” ho solo poche ore, ancora.
Non voglio… Non posso… Arrendermi adesso.
“Qualcosa non va?” domanda, avvicinandosi ed io, guardandola, confesso:
“Se ne va.” mi lascia.
Forse per sempre.
E la sua espressione impassibile, chiaro segno che ha capito esattamente di chi sto parlando, è forse lo schiaffo più forte che potevo ricevere.
“Lo sapevi?”
“Mi è giunta voce, sì.” non sono certo di volerle credere, forse anche solo per trovare qualcuno da incolpare per il mio fallimento.
“Sembri felice.”
“Non per il motivo che pensi.” ribatte, troppo sulla difensiva perchè io accetti di crederle “… Dopo quello che hai detto, la sua sola presenza era un insulto nei miei confronti!” un… Insulto?
Mi faccio decisamente più serio.
“Dimmi che non c’entri niente.” per favore “… Dimmi che non sei stata tu, a far sì che questo avvenisse.” perchè non so come potrei reagire.
Mi fissa in silenzio per un momento, un lungo momento, un momento troppo lungo, infine afferma:
“Io non ho fatto niente.” non so se crederle o meno ma, in nome del matrimonio che a breve ci legherà, scelgo la prima opzione, chiudendo qualsiasi genere di discussione e chiedendole di lasciarmi da solo, così che possa tornare ai miei pensieri.
Alle mie ricerche.
Insomma, ci sarà pur qualcosa che io possa fare, no?
Un’idea mi balena in testa per un secondo ma, in quello stesso secondo, la rimuovo completamente.
No, di certo non posso farlo…
Quindi cerco altro, mantenendo lo sguardo fisso sui dadi, come se loro potessero darmi le risposte di cui ho bisogno.
Ma non è così o magari sì, fatto sta che, un paio di ore più tardi, prendo la mia decisione.
Quindi faccio quello che devo e, una volta terminato, invece di andare a dormire come forse dovrei fare, rimango seduto al tavolo del mio studio, come se questo servisse a fermare il tempo che scorre.
Mi alzo solo alle prime luci dell’alba, segno che esso è finito e, prima che sia troppo tardi, mi dirigo nel cortile, stringendo in mano il mio solo raggio di speranza.
Lo vedo arrivare praticamente insieme a me e, in quell’attimo in cui mi concede di sostenere il mio sguardo, mi accorgo di come sia sorpreso di vedermi.
Cerco di non farci caso e, vincendo l’istinto che mi spinge a chiedergli espressamente di non partire, a farlo rimanere anche a costo di usare la forza, mi limito semplicemente a porgergli il pendente che ho preparato per lui questa notte, mormorando:
“Prendi questo.”
“Che cos’è?”
“Una sciocchezza ma… Se avrai bisogno di me… Per qualsiasi motivo, anche il più stupido di questo mondo… Manda questo a palazzo. E io verrò da te.” lo fissa in silenzio qualche momento, infine, con un filo di voce, afferma:
“No.”
“Newt. Per favore.” non vuole che lo fermi, quindi non lo farò.
Ma che almeno faccia questo.
Indugia ancora, dandomi la sensazione di poter cedere, nonostante insista ancora:
“E in che modo potrei farlo arrivare qui?”
“In ogni villaggio e città c’è un centro di raccolta di informazioni riguardanti il regno. Basterà che tu lo porti lì, al resto penserò io.” non risponde ed io ripeto:
“Per favore.” sospira ed io percepisco la sua difficoltà, che lo porta a tentare di rifiutare ancora:
“Sai, vero, che non lo userò?”
“Non importa. Voglio che lo prendi. Per qualsiasi evenienza.” magari, con il passare del tempo potrebbe cambiare idea.
Potrebbe semplicemente voler tornare da me.
Oppure potrebbe seriamente aver bisogno di aiuto e voglio che quell’aiuto venga da me.
Insomma, voglio che mi lasci una possibilità di ritrovarlo.
Finalmente mi guarda negli occhi, commentando, chiaramente a disagio:
“Tu non ti arrendi proprio mai, eh?”
“No.” specialmente se si tratta di lui.
Sospira di nuovo ma poi mi accontenta, alzando una mano per prendere quel piccolo cilindretto che potrebbe riportarlo da me e che, per un secondo, indugio a lasciare.
Poi, quando ormai è totalmente in mano sua, ribadisce, tornando con la testa bassa:
“Non lo userò.”
“Non si sa mai.” io voglio credere il contrario.
Non aggiunge altro ed io nemmeno, nonostante ci siano ancora un sacco di cose che vorrei dirgli ma che temo di non poter fare.
Infine giunge anche Minho e questo dà la possibilità al biondo di superarmi, bisbigliando un flebile:
“Addio.” a cui non intendo rispondere, preferendo portare la mia attenzione sull’ultimo arrivato, con il quale mi permetto di togliermi l’ultimo dubbio:
“Se io in qualche modo ti impedissi di partire, lui resterebbe?” scuote la testa, informandomi:
“Non è lui che parte con me. Sono io che parto con lui.” già, lo sospettavo…
Sospiro amaramente, arrendendomi nonostante ne fossi già consapevole, potendo solo abbracciarlo e raccomandarmi:
“Fate attenzione.” ricambia la mia stretta “… E per qualsiasi cosa, non esitate, nemmeno a tornare.”
“D’accordo.” replica, temo solo per farmi contento.
Poi mi lascia andare, nonostante mantenga una mano sulla mia spalla e, sottovoce, aggiunge:
“Andremo a nord-est. A cercare Alby. Se un cavallo ti investe e perdi la memoria… Cerca di ricordare almeno questo.” rimango sorpreso ma non posso che essergli grato di questa informazione e, difatti, con lo stesso tono ma accennando ad un sorriso, mormoro:
“Grazie.” infine, sapendo entrambi di non poter indugiare oltre, non ci rimane che salutarci definitivamente, a lui raggiungere il suo compagno di viaggio per allontanarsi insieme e a me restare ad osservarli, sapendo che ormai non c’è più niente da fare e che mai si volterà indietro, nemmeno per un secondo, fino a quando scompaiono definitivamente dalla mia vista.
Eppure… Non è finita qui.
Almeno… Non per me.

 

Continua…

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