Destino (TMR) – Capitolo I


** Thomas **
Apro leggermente gli occhi, richiudendoli immediatamente a causa della luce che li ferisce e di un forte dolore alla testa, per il quale non trattengo un gemito.
“Ti sei ripreso?” domanda una voce che non riconosco e, sforzandomi di risollevare le palpebre, mi ritrovo davanti un ragazzo che non conosco.
Scatto seduto, avvertendo il male alla testa aumentare tanto da portarmi a piegarmi su me stesso, facendo aggiungere all’altro:
“Ehy, ehy, piano! Guarda che hai preso una bella botta!” mi fa tornare steso ed io ne approfitto per chiedergli:
“Cosa è successo? Dove mi trovo? Tu chi sei?”
“Calma, calma.” ci prova, sedendosi accanto a me ed io, istintivamente, torno seduto per farmi indietro, senza che questo sia per lui un gosso problema “… Una cosa per volta. Il mio nome è Alby, in questo momento sei in un piccolo accampamento nomade ai margini del regno.”
“Come ci sono finito qui?”
“Ti ha portato Minho.” mi spiega, come se questo chiarisse del tutto la questione, cosa che invece proprio non fa, nonostante il suo cenno verso un angolo della tenda e, seguendo la medesima direzione, scorgo un altro ragazzo a me sconosciuto ma, dall’accenno di sorriso che fa, accompagnato da uno di saluto, deduco che sia lui la persona di cui il mio interlocutore parla.
“Sei rimasto coinvolto in uno scontro con la guardia reale. Uno di loro ti ha travolto con il suo cavallo, sei andato giù come un sacco di patate e hai picchiato la testa perdendo i sensi.” mi spiega quest’ultimo, avvicinandosi fino a raggiungere il suo compagno, sotto il mio sguardo sfocato dalla confusione che aumenta solo il mio mal di testa “… Visto che ero io l’obiettivo di quel cavallo, il minimo che potessi fare era aiutarti. Cosa ci facevi là? Non sembri uno di queste parti, sembri più… Uno sprovveduto per niente abituato a stare in una città.” scuoto debolmente la testa, cercando di diradare la nebbia che ne ha preso possesso e di dare un senso a quello che sta dicendo ma tutto ciò che riesco a dire è uno stentato:
“Cosa?” di che sta parlando?
Si scambiano uno sguardo, poi sorridono ed infine è il capo a porre fine alla questione:
“Evidentemente il colpo alla testa deve averti stordito parecchio. Forse è il caso che ti riposi, così poi potrai dirci chi sei, da dove vieni e per quale motivo ti trovavi là.”
“Io…” balbetto “… Non lo so.”
“Non lo sai?” ripete il mio interlocutore, sorpreso “… Dicci allora da dove vieni.” nemmeno a questo so rispondere e lui, sospirando, prova a consolarmi:
“Probabilmente hai perso la memoria. Ricordi almeno il tuo nome?” provo a riflettere, senza grandi risultati, almeno fino a quando, parecchi secondi dopo, una voce maschile, di un uomo, per il quale avverto una sorta di affetto, chiama un nome, un nome che, mi auguro, è il mio:
“Thomas. Mi chiamo Thomas. Credo…”
“Beh, Thomas.” afferma Alby, alzandosi “… Direi che per il momento va bene così. Riposati, adesso. Uno dei ragazzi ti porterà qualcosa da mangiare.”
“Aspetta, io..!” provo a fermarlo ma non vengo ascoltato e, una volta solo, non posso fare a meno di sospirare, concludendo al vento:
“Non posso stare qui.” invece pare che non interessi a nessuno, nè a lui, nè a quel Minho che è uscito con lui, nè al ragazzo che, tempo dopo, mi porta una (deliziosa) zuppa da mangiare, nè a quello che mi cambia le medicazioni nè a quello che torna ancora verso sera con un (tenerissimo) piatto di stufato nè a quell’altro che di nuovo mi cambia la fasciatura prima di dirmi di dormire nè a quello che il mattino dopo, insieme a quello che il giorno precedente mi ha cambiato la bende e che anche oggi fa altrettanto, mi porta la colazione, invitandomi poi, se me la sento, ad uscire per raggiungere il loro capo.
Non indugio un solo istante a cogliere l’occasione e, seguendoli, non fatico a trovare chi cerco, a cui chiedo ulteriori spiegazioni circa dove mi trovo e per le quali, fortunatamente, non devo insistere, accompagnandolo in un giro del posto:
“Noi siamo… Tutti ragazzi rimasti senza famiglia, chi per un motivo e chi per un altro. Quasi nessuno di noi ha un’istruzione e quei pochi che, nel corso della loro vita, hanno imparato qualche lavoretto, lo hanno insegnato agli altri. Abbiamo un pugno di animali da fattoria ma non sempre basta. Qualche volta siamo costretti ad entrare in città a rubare qualcosa ma, naturalmente, ai cittadini questo non fa piacere. Ultimamente i soldati che fanno la ronda sono aumentati e non è più così raro che ci siano degli scontri con noi. Ma per fortuna ancora non hanno scoperto questo posto, quindi non preoccuparti: per un po’ saremo al sicuro.”
“Perchè la corona non fa niente, per voi?” si mette leggermente, spiegandomi:
“Al re non interessava molto del suo popolo e suo fratello non è diverso. Qualcuno di noi ripone delle speranze nel principe, che dovrebbe salire al trono a giorni ma…”
“Non ci credi?” resta in silenzio qualche attimo, poi afferma:
“Affatto.” poi aggiunge immediatamente:
“Ma non dirlo ai ragazzi. Io… Voglio che almeno loro possano ancora sperare in un futuro migliore.” si perde con lo sguardo verso l’orizzonte e, seguendo la stessa direzione, immagino si riferisca in particolar modo al gruppetto a qualche metro di distanza da noi, di cui fa parte anche quel Minho che mi ha portato qui e che, quando ci vede, ci fa un cenno di saluto e, quando questo viene ricambiato, ci raggiunge, salutandomi e chiedendomi:
“Allora, come va oggi?”
“La testa fa ancora male ma sto meglio.”
“Qualche ricordo?” scuoto la testa ma, prima che qualcuno dei due possa aggiungere altro, ci raggiunge un altro ragazzo dall’aria scontrosa, che nemmeno mi guarda e che si rivolge solo all’altro, dicendogli:
“Forza, Minho. Andiamo. Dobbiamo mantenerci allenati.”
“Lui è Gally.” me lo presenta il primo “… C’era anche lui ieri, quando sei stato travolto.” faccio per salutare ma quello mi anticipa, guardandomi storto e commentando bruscamente:
“Non starci tra i piedi. Averti portato qui è stata solo una perdita di tempo!”
“Gally, sii gentile.” lo riprende Alby “… Thomas ha perso la memoria e fino a quando starà meglio resterà con noi.”
“Tks, è solo una palla al piede.” sono già pronto a difendermi da solo ma Alby mi anticipa, rivolgendosi all’altro presente e chiudendo definitivamente il discorso:
“Chiamami Newt.” Minho annuisce e, dopo aver dato una pacca sulla spalla all’altro, gli fa cenno di seguirlo così che insieme se ne possano andare ed io non indugio molto a borbottare, ironico:
“Simpatico.”
“Come ti ho detto prima…” ribadisce il mio vicino “… Tutti i ragazzi presenti hanno un passato difficile. Gally non fa eccezione, quindi sii gentile anche tu, con lui.” sono pronto a ribattere ma ancora una volta me lo impedisce, continuando:
“E sempre riguardo al discorso di prima: non farne parola con alcuno, specialmente con Newt.” mi basta l’espressione risoluta con la quale mi avverte con uno sguardo di non trasgredire a questa richiesta che suona molto come un ordine ed io non me la sento di controbattere.
Infine, il suo viso si addolcisce nel momento in cui un altro ragazzo si aggiunge a noi, salutandolo per poi chiedere:
“Che cosa c’è?” capisco così che si tratta del tipo che ha mandato a chiamare e a cui viene semplicemente detto:
“Occupati tu di lui, intanto che starà meglio.”
“D’accordo.” acconsente, con un sorriso ed io ricevo una pacca sulla spalla, insieme ad una minacciosa raccomandazione:
“Mi raccomando.” infine rimango da solo con l’ultimo arrivato che, senza cambiare espressione, domanda:
“Come ti senti?”
“Confuso.” ammetto, facendolo leggermente ridere e replicare:
“Ci credo! Minho mi ha raccontato come sono andate le cose, puoi ritenerti fortunato ad essertela cavata con solo una botta in testa!” mi fa cenno di seguirlo e, facendolo, non posso fare a meno di chiedere a mia volta:
“Perchè, come sono andate le cose?”
“Non ricordi?” affatto.
Il primo ricordo che ho è di essermi svegliato in quella tenda, tutto qui.
Infatti posso solo scuotere la testa e lui, sorridendo incoraggiante, mi rassicura:
“Vedrai che passerà!”
“Me lo auguro.” confesso ma, prima che possa mettere almeno lui a conoscenza del mio non poter rimanere, sebbene non sappia per quale motivo, mi anticipa, cominciando a spiegarmi come funzionano le cose in questo accampamento, della frequenza e modalità con cui si spostano e della suddivisione dei ruoli, andando poi a cercare quello che potrebbe essere più adatto a me, escludendo a priori e con una leggera risata quello di fare rifornimenti in città, approfittando di tutto questo per farmi conoscere gli altri presenti.
Infine, una volta soli e ripreso il discorso, si lascia andare ad un lungo sospiro, confessando:
“In verità, non credo proprio che le cose miglioreranno mai.” reduce della discussione con Alby, mi affretto ad essere io, per una volta, a provare a rassicurarlo:
“Vedrai che non sarà così!”
“Cosa te lo fa pensare?” rifletto un istante poi, cercando di apparire sicuro, affermo:
“Quando il principe salirà al trono…” si mette leggermente a ridere, facendomi bloccare, e domanda:
“Hai parlato con Alby, vero?” capisco subito che una risposta sarebbe inutile, dato che la conosce già e, sospirando ancora, ammette:
“Lui… Ci crede davvero. È il solo, qui dentro, a farlo. Visto che è stato lui a salvare tutti noi, nessuno ha il coraggio di spezzare la sua illusione. Cerchiamo di sostenerlo facendogli credere che anche noi ci crediamo ma… Non è così. Nessuno di noi ci crede. Le cose non cambieranno, principe o non principe.”
“Ti sbagli.” lo riprendo, istintivamente e, davanti alla sua espressione sorpresa, ho bisogno di un momento per rimediare alla mia affermazione, combattendo contro un fastidioso senso di disagio che non mi so proprio spiegare:
“Tutti meritano una possibilità.” mi guarda con un’espressione quasi intenerita, mormorando:
“Tu davvero non ricordi niente.”
“No ma…” insisto, venendo interrotto da lui, con un tono freddo che proprio non gli si addice:
“I ricchi sono tutti uguali, pensano solo a se stessi.”
“Dagli solo una possibilità!” mi impunto, togliendogli la parola “… Forse questa volta le cose potrebbero essere diverse.”
“E cosa te lo fa credere?” a questo non so proprio cosa rispondere e lui, accennando di nuovo ad un sorriso intenerito, cede il passo:
“E va bene. Visto che sei tu a dirlo, proviamo a crederci.” non nascondo la mia sorpresa e lui, divertito, mi spiega il motivo della sua affermazione:
“Dopotutto, sei stato travolto da un cavallo perchè sei stato tu a metterti sulla sua traiettoria prima che arrivasse a Minho, quindi forse… Te lo devo.” ci metto un po’ ad elaborare le sue parole e, come questo avviene, non posso fare a meno di sorridere, sollevato e vittorioso, nonostante una parte di me provi ancora un inspiegabile senso di disagio, ora leggermente attenuato ma misto ad una sorta di irritazione.
Non mi dà il tempo di riflettere su questi sentimenti, cambiando argomento ed invitandomi con un cenno del capo ed un altro sorriso a riprendere il cammino, così che, forse, possiamo trovare qualcosa che faccia al caso mio e che mi possa tenere impegnato fino alla mia guarigione.
Il risultato è abbastanza deludente ed io, nei giorni successivi, ancora privo di memoria, mi ritrovo a fare un po’ di tutto, non brillando particolarmente in qualcosa ma consolandomi dagli scherni di Gally grazie alla perenne vicinanza di Newt, il cui compito principale sembra essere diventato quello di consolare me.
E, complice il fatto che la sua presenza, le sue parole e quel sorriso incoraggiante con cui mi guarda sembrano davvero avere l’effetto di alleviare i miei insuccessi, mi ritrovo sempre più spesso a cercarlo, rendendomi presto conto che il suo legame con Minho sembra essere qualcosa di più di una semplice amicizia.
Ma, in questo caso, non mi è difficile capire il senso di frustrazione che mi pervade ogni volta che mi ritrovo a far fronte a questa cosa.
Mi sforzo di non pensarci, preferendo concentrarmi sul modo del biondo di legare la fasciatura al braccio dell'”amico”, mentre lo riprende, chiaramente apprensivo:
“Dovevi fare più attenzione.”
“Hai ragione, mi dispiace.” ammette, senza nemmeno provare a difendersi, cosa che faccio io al posto suo:
“Ma è solo un graffio, no? Insomma, non è nulla di grave, guarirà presto.” mi pento di aver parlato nel momento in cui ricevo un’eloquente fulminata da Newt, che però non si rivolge a me quando riprende:
“Ho finito, cerca di non sforzarti per un po’.”
“Va bene.” acconsente il suo interlocutore “… Non volevo farti preoccupare, scusa.”
“Sì, come no.” borbotta, alzandosi per poi uscire dalla tenda, lasciandomi da solo con l’altro, che mantiene su di lui uno sguardo che non so proprio interpretare.
Infine sposta la sua attenzione su di me, riprendendomi a sua volta:
“Non avresti dovuto dirlo.”
“Me ne sono accorto.” mi difendo, risentito “… Cercavo solo di rassicurarlo.” scuote debolmente la testa, informandomi, come se non me ne fossi accorto da solo:
“Niente di quello che potevi dire poteva tranquillizzarlo.”
“Mi sono accorto anche di quello.” accenna ad un sorriso, infine finalmente mi spiega:
“Io e lui siamo molto legati.”
“Ho notato anche questo.” borbotto ma forse non mi sente, preferendo proseguire:
“Ero con Alby quando abbiamo trovato Newt e da allora ci siamo sempre presi cura di lui. E lui di noi.”
“Di te in particolare.” sottolineo e lui non nega:
“Si è particolarmente legato a me fin da subito. Più o meno… Ora siamo come fratelli.”
“Sembrate qualcosa di più.” bofonchio sottovoce ma, per nulla intenzionato ad affrontare un discorso da cui sono certo di uscire malconcio, preferisco cambiare argomento, affermando:
“Voglio venire anch’io, la prossima volta.”
“Dove?”
“In città!” che domande!
“A fare cosa?”
“A darvi una mano! Potrei esservi d’aiuto!”
“Tu?” ripete, palesemente divertito ma facendomi annuire “… Non se ne parla proprio! Ieri Gally te le ha suonate di nuovo! Fin quando non riuscirai a tenergli testa, è meglio che tu non lasci l’accampamento! E lo dico per il tuo bene.” faccio per protestare ma vengo anticipato dall’arrivo del capo del posto che, entrando, commenta:
“Si può sapere cosa hai detto a Newt? Sembrava piuttosto arrabbiato.”
“È stato il pivello.” si difende immediatamente l’accusato, indicandomi con un cenno della testa.
“Thomas.” mi sgrida il nuovo arrivato, senza darmi il tempo di difendermi “… Sei qui da una settimana, ormai dovresti aver capito che a Newt non devi toccare Minho. Un piccolo graffio per lui è una ferita mortale, spero tu non gli abbia detto che non era niente di grave. La sua espressione diceva proprio quello.” credo che il silenzio che cala sia una risposta più che sufficiente, a giudicare da come sospira ma, prima che possa sollevarmi da terra per rimediare a quanto fatto, Minho mi anticipa, facendo leva sulla mia spalla per alzarsi e affermando semplicemente:
“È passato abbastanza tempo, vado.” raggiunge l’uscita ma, prima di varcarla, torna a guardarmi, aggiungendo:
“E togliti dalla testa quell’idea.” non attende una replica, andandosene ed io mi ritrovo a ripetere la discussione anche con Alby, il quale mi fa lo stesso discorso del suo compagno, facendomi solo indispettire maggiormente, tanto che non indugio molto a lasciare la tenda, in cerca della persona con cui scusarmi, individuandola facilmente insieme al suo “amico”, intenti a parlare strettamente, con quell’atmosfera tra di loro tipica di quando sono soli.
E che ha me non piace.
Non piace affatto!
Eppure, so di non poterci fare niente ed io devo attendere quasi il tramonto per poter raggiungere il biondo e cercare in qualche modo di scusarmi.
“Lascia perdere.” mi interrompe in fretta dai miei tentativi di mettere insieme una frase di senso compiuto che, possibilmente, non lo faccia imbestialire “… So che pensi che abbia esagerato.”
“Affatto!” mento e mi è chiaro che lo ha capito dall’espressione con la quale replica:
“Non fa niente, Tommy. Lo so che non puoi capire.”
“Non è che non posso capire.” lo correggo “… Solo… Faccio solo un po’ di fatica, ecco tutto.” è passata solo una settimana da quando sono arrivato e, per quanto tempo abbiamo trascorso insieme, so che non è affatto paragonabile a quello che gli altri hanno passato con lui, Minho e Alby in particolare.
Ma non per questo intendo farmi da parte.
“Minho è la mia famiglia.” afferma, catalizzando completamente la mia attenzione “… È… La cosa più importante che ho. Se dovesse succedergli qualcosa, io…”
“Ho capito.” lo interrompo, così che non si sforzi di parlarmi troppo di sè, visto che non sembra molto dell’idea di farlo “… Da una ferita superficiale ad una profonda, il passo è breve. Esatto?” smette di nascondere la sua preoccupazione in merito e, abbassando lo sguardo, sussurra:
“Esatto.” non freno un sospiro, che mi dà lo slancio per cercare di consolarlo:
“Io credo… Che Minho lo sappia.”
“Lo sa.” non mi lascio scoraggiare dal suo tentare di impedirmi di consolarlo in qualche modo:
“È il primo a non voler farti preoccupare. Scommetto che, ora, farà ancora più attenzione, quindi…” quindi? Non preoccuparti.? Stai tranquillo.? Vedrai che andrà tutto bene.?
Non so proprio cosa aggiungere e temo che sia questo a portarlo a sorridere, facendo perdere d’importanza tutto il discorso, e a bisbigliare:
“Non dire altro.”
“Ma io…” ci riprovo, volendo per una volta non fare la figura del pivello sprovveduto almeno di fronte a lui.
“Preparati per la festa, piuttosto.” mi interrompe, scuotendo debolmente la testa “… E cerca di non prenderle anche stasera.” non ho la prontezza di controbattere, dandogli quindi la possibilità di andarsene, restando da solo a guardarlo senza una motivazione valida per fermarlo e sentendomi veramente un idiota, ritrovandomi ancora una volta a pensare che, se sapessi chi sono, forse sarebbe tutto un po’ più facile.

 
Continua…

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